Paolo VI: un papa, un santo, un uomo libero

Paolo VI: un papa, un santo, un uomo libero

Con l’annunciata #canonizzazione di #PaoloVI entro il 2018, salirà a quattro il numero di papi santi, regnanti nel secolo scorso: a Pio X (1903-1914), Giovanni XXIII (1958-1963) e Giovanni Paolo II, si aggiungerà il pontefice bresciano, senza contare le cause di beatificazione in corso per i venerabili Dio Pio XII (1939-1958) e Giovanni Paolo I (1978). Un numero ragguardevole, se si pensa che nei due millenni di storia della Chiesa, i papi canonizzati sono stati 80 su 266, la maggior parte dei quali martiri e comunque concentrati nei primi tre secoli, quelli caratterizzati dalla persecuzione più massiccia.

Nel nostro secolo, come agli albori della cristianità, assistiamo a un ritorno di quelle persecuzioni, che Gesù stesso prevede per la sua Chiesa (cfr Gv 15,20) e, in modo particolare, per il suo primo successore, San Pietro (cfr Gv 21,18). C’è però un’altra persecuzione, più sottile e subdola, che si insinua dall’interno della Chiesa stessa e che consiste fondamentalmente nel rinnegamento, nelle forme più disparate, della propria identità e missione. Se Benedetto XVI insisteva sulle categorie di “relativismo” o di “ermeneutica della discontinuità”, papa Francesco preferisce parlare di “mondanità spirituale” o di “doppia vita” del clero. Una Chiesa meno convinta rispetto al passato del proprio ruolo e della propria dignità, che scende a patti con il mondo e con le strutture di potere, che non fa più evangelizzazione ma “proselitismo”, che rincorre le mode e lo spirito dei tempi, finanche negli aspetti più deteriori. Gli scandali sessuali e finanziari non sono la causa ma la conseguenza di questo disagio e di questa crisi. Una crisi, i cui sintomi furono intuiti con lungimiranza dallo stesso Paolo VI che, senza mezzi termini parlò di “fumo di satana” entrato nel “Tempio di Dio” (Angelus, 29 giugno 1972) e di un “pensiero non cattolico” che si era fatto strada anche nelle gerarchie ma che, per grazia di Dio, non sarebbe mai diventato il vero pensiero della Chiesa (conversazione con Jean Guitton, 1977).

Paolo VI è stato definito il “papa nella tempesta”, avendo traghettato la Chiesa del post-Concilio nella sua fase di maggiori turbolenze ed incertezze. Sono gli anni del “Sessantotto cattolico”, dei “preti operai”, della “Chiesa del dissenso”, della Teologia della Liberazione, del “Catechismo olandese”, dei “cattolici per il divorzio” e di numerose altre correnti tutte ai limiti dell’eterodossia, alcune riassorbite, altre finite disperse nel mare magnum della secolarizzazione dilagante. Un’epoca di veri e falsi profeti che, in positivo, ha visto l’ascesa dei movimenti laicali e il rilancio del ruolo dei cattolici nella vita pubblica. La Provvidenza ha voluto che, in quegli anni, sulla cattedra di Pietro, sedesse un uomo particolarmente mite, forse meno carismatico sia dei suoi predecessori che dei suoi successori. L’unico, però, in quel momento storico, dotato della lucidità e del coraggio necessari per mediare in intrecci ideologici così complessi.

I suoi detrattori lo definivano “Paolo mesto”, per il suo temperamento poco appariscente, talora malinconico, e in effetti, specie in gioventù, tutto si sarebbe potuto dire di Giovanni Battista Montini, tranne che sarebbe arrivato ad assumere le redini della quasi bimillenaria Chiesa Cattolica.