Don Tonino e padre Jorge: due destini paralleli e un “incontro” provvidenziale

Don Tonino e padre Jorge: due destini paralleli e un “incontro” provvidenziale

Don Tonino affermava di preferire ai “segni del potere”, il “potere dei segni”. Era convinto che la “cultura dell’indifferenza” andava contrastata con la “convivialità delle differenze”. Così come Bergoglio ha incoraggiato l’accoglienza dei profughi siriani in Italia e in tutta Europa, monsignor Bello raccomandò ai pugliesi di essere disponibili e fraterni con gli albanesi che, nei primi anni ’90, giungevano sui barconi dall’altra sponda dell’Adriatico.

In comune con il pontefice argentino c’è anche lo stile appassionato, gioioso (difficile trovare una foto in cui don Tonino non sia sorridente…) e amabilmente ‘sopra le righe’. Così come Francesco ha tuonato contro il traffico di armi e la “guerra mondiale a pezzi”, indicendo giornate di preghiera e digiuno per la pace, don Tonino si batté strenuamente per l’obiezione fiscale alle spese militari, si oppose all’installazione dei missili a Comiso, agli F16 a Crotone e ai Jupiter a Gioia del Colle; poi, alla fine del 1992, nonostante un tumore allo stomaco in fase avanzata, marciò in una Sarajevo devastata dal conflitto civile. Con trent’anni d’anticipo sull’enciclica Laudato si’, monsignor Bello fu tra i primi prelati a denunciare il degrado ambientale in cui versavano Molfetta e altre località della sua diocesi. Don Tonino era persona coltissima, di raffinate letture ed è stato anche autore di apprezzate poesie. Il suo linguaggio era articolato e ricco di metafore ma sempre diretto, chiaro e capace di colpire le persone semplici.

Il vescovo salentino era anche molto amato dai giovani. Con i ragazzi don Tonino non saliva mai in cattedra e aveva sempre una parola positiva. Li metteva in guardia, comunque, dalle sirene del carrierismo e dell’edonismo, raccomandandoli di non avere un approccio usa-e-getta nei rapporti affettivi ma di credere nell’amore per tutta la vita. Don Tonino non distingueva tra una “Chiesa della morale” e una “Chiesa del sociale”, avendo, a modo suo, intuito, con trent’anni d’anticipo, la comune matrice della “cultura dello scarto” nei confronti di ogni forma di vita umana: considerava l’aborto un “grave oltraggio alla fantasia di Dio” e riteneva “veramente strano e paradossale” che la cultura dominante potesse battersi “con tanto calore per il rispetto della vita al punto da abolire la pena di morte” e poi sostenesse “la soppressione in massa di vite umane” nel grembo materno.

Tonino Bello e Jorge Mario Bergoglio: due pastori amati dal popolo ma spesso incompresi dalle élite, entrambi ben calati nella realtà sociale del loro tempo e, nondimeno, convinti fautori di una “Chiesa che sogna” e che cambia il mondo. Le visite ad Alessano e a Molfetta di venerdì prossimo, precedono di tre settimane quelle a Loppiano e Nomadelfia (10 maggio 2018), in cui papa Francesco omaggerà la memoria di Chiara Lubich (1920-2008) e don Zeno Saltini (1900-1981); poco meno di un anno fa, il Pontefice si era recato a Bozzolo e a Barbiana, per pregare sulle tombe di don Primo Mazzolari (1890-1959) e don Lorenzo Milani (1923-1967). C’è un filo rosso che lega questi quattro grandi protagonisti del rinnovamento della Chiesa del secolo scorso a monsignor Tonino Bello. Cinque mirabili esempi di una Chiesa più che mai vicina al Vangelo, in un’epoca che di evangelico pare avere assai poco.