Una delle migliori notizie, a conclusione di questo tormentatissimo 2020, è stato l’annuncio della beatificazione di Rosario Livatino (1952-1990). Mercoledì scorso, papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi alla promulgazione dei decreti riguardanti otto servi di Dio. Tra questi c’è il magistrato siciliano assassinato dalla mafia il 21 ottobre 1990, di cui è stato riconosciuto il martirio in odium fidei.
Ogniqualvolta la Chiesa allarga la schiera dei suoi martiri, si moltiplica esponenzialmente la Speranza. Quando un cristiano versa il sangue per i suoi fratelli nella fede, la sua morte acquista connotati eroici, in quanto lo avvicina al sacrificio di Gesù. Santo Stefano, che viene festeggiato oggi, oltre ad essere classificato come primo martire, è paradigmatico, proprio perché la sua vicenda ricalca in modo impressionante quella del Figlio di Dio crocefisso.
Come Gesù, il diacono Stefano compie prodigi (cfr At 6,8), ciononostante, viene accusato di bestemmia dagli anziani e dagli scribi e sommariamente processato davanti al Sinedrio (cfr At 6,15). Dimostrando di conoscere a menadito le Sacre Scritture e di non averle tradite, Stefano mette con le spalle al muro i farisei ipocriti, suscitando tutta la loro rabbia. Viene così condotto fuori dal Tempio e lapidato. Poco prima di spirare, il giovane diacono pronuncia parole molto simili a quelle di Cristo in croce: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59) e «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Tra i mandanti dell’omicidio di Stefano c’è quel Saulo di Tarso, protagonista della più sconvolgente conversione di sempre. La storia della Chiesa, quindi, non avrebbe preso la piega che ha preso se non avesse avuto luogo quel primo martirio.
Ripercorrere la vicenda del protomartire Santo Stefano è utile per ricordare una verità immutabile dello status di cristiani: quella del martirio. Un cristiano è martire sempre, indipendentemente da un’eventuale morte violenta e anche dal livello di ostilità che può suscitare. La parola greca μάρτυς vuol dire infatti testimone ma una testimonianza di fede, per essere autentica, deve rispettare una serie di condizioni.
“Non imputare loro questo peccato”
Non si può essere credibili nel ruolo di martiri, se si porta rancore per i propri avversari. Non si tratta semplicemente di “non porgere l’altra guancia”, né basta semplicemente non odiare il proprio aguzzino. Un martire combatte sempre il nemico ma non lo fa mai ad armi pari. Non si mette sul suo stesso piano. All’odio risponde con l’amore. È impossibile, però – ricordiamolo sempre – provare un amore umano per i propri nemici.
Chi subisce il martirio, ama e benedice il suo carnefice, perché ha conosciuto l’amore di Gesù e ha ricambiato quell’amore. In ogni martire che perde la vita, c’è Cristo che, ogni volta, viene nuovamente crocefisso e nuovamente risorge. Con le sue sole forze, il martire non può far nulla. Sarebbe folle per chiunque, poi, cercare il martirio alla stregua di un “bel gesto”. Il battesimo del sangue è una vocazione stabilita solo ed esclusivamente da Cristo. Dio chiama alcuni a quel tipo di martirio, per altri sarà riservato il martirio bianco, ovvero una forma di sofferenza che non implica la morte ma che, offerta al Signore, può portare alla salvezza propria e altrui.
Martiri, ovvero uomini liberi
Altra condizione imprescindibile dello status di martire è la libertà. Come in ogni tipo di vocazione, il chiamato è posto al bivio tra il dire di sì o di no al Signore. Non esistono, però, scelte senza un prezzo da pagare. La malvagità dei persecutori dei cristiani, in genere, non si ferma alla sola violenza o alla sola prepotenza. Chi perseguita tenta quasi sempre la carta della corruzione. A molti martiri dell’Antica Roma veniva offerto il salvacondotto dell’apostasia: se avessero mostrato di adorare i simulacri degli dèi pagani, avrebbero ricevuto in cambio la libertà. Alcune vergini martiri come Santa Agnese o Santa Lucia furono condotte a forza nei postriboli, affinché la loro purezza fosse macchiata: fu del tutto inutile.
A San Tommaso Moro (1478-1535) fu prospettata una grande carriera e una vita di onori se avesse rinnegato il Papa, per aderire alla nuova chiesa d’Inghilterra: rifiutatosi, fu condotto al patibolo. A San José Sanchez del Rio (1913-1928), giovanissimo combattente nella guerra cristera messicana, fu promessa una fulgida carriera nell’esercito avversario, se avesse rinnegato la sua fede. L’unica ambizione del ragazzo, però, era quella di amare Gesù e la Chiesa. Condotto davanti a quella che sarebbe diventata la sua tomba, gli fu ordinato di gridare: “Muoia Cristo Re!”, se voleva tornare libero. Senza alcuna esitazione, José gridò: “Viva Cristo Re!”. Una fucilata e, anche lui entrava nella schiera dei martiri.
Mai scendere a compromessi con il potere
Alla luce degli esempi visti finora, è evidente che coltivare in modo sincero la fede cristiana è già qualcosa di trasgressivo. C’è però qualcosa di ancor più rivoluzionario: anteporre con convinzione la fede alle suggestioni della mondanità e dell’autoaffermazione personale. Oggi tutto questo è sempre più difficile. Gli idoli sono costantemente in agguato per ammaliare e ingannare. Per anni siamo stati irretiti dall’illusione di una vita di benessere e ricchezza materiale. In nome della carriera e per avidità di denaro, migliaia di finti cristiani calpestano ogni giorno la propria fede e, in certi casi, la rinnegano. Non è più tempo per cristiani bigotti: sono inutili e dannosi almeno quanto lo erano i farisei al tempo di Gesù. Più che mai rischiosi sono, di questi tempi, il compromesso e la fede “negoziata”: come proclama l’Apocalisse, i tiepidi saranno vomitati dalla bocca di Dio (cfr Ap 3,16).
Oggi che, in particolare in Italia, le prospettive di ricchezza e carriera diventano sempre più esigue, si fa strada un nuovo “vitello d’oro”: la salute a tutti i costi. Lo abbiamo visto negli ultimi mesi: in nome dell’incolumità fisica, persino la vita sacramentale viene posta in secondo piano. La cosa più sconfortante è che persino molti vescovi e pastori si appiattiscono sull’idea di una salvezza intramondana. In città come Orvieto o Trento, persino i Re Magi nei presepi si prostrano in adorazione del nuovo “dio vaccino”. Ovunque si volga lo sguardo, la fede è in qualche modo minacciata, banalizzata o annacquata. Anche in Europa, anche in paesi tradizionalmente cristiani, è finito il tempo della fede “a costo zero”. È tempo per cristiani umili, poco mondani e per nulla disposti a farsi comprare. È tempo per nuovi testimoni. È tempo per nuovi martiri.