Giovannino Guareschi: cristiano, scrittore e uomo libero

Giovannino Guareschi: cristiano, scrittore e uomo libero

Guareschi modella i suoi personaggi con profonda lealtà: don Camillo e Peppone sono, sì, l’esemplificazione di due modi di pensare opposti che si scontrano; se le danno di santa ragione ma, in fin dei conti, non si odiano mai veramente. Non possiamo certo dire che Guareschi sia neutrale nelle dispute tra i suoi personaggi: l’autore ha scelto da che lato schierarsi e la sua opzione è palesemente per il mondo rappresentato da don Camillo. Il burbero ma irresistibile parroco di Brescello è di certo il personaggio in cui Guareschi vede rispecchiato se stesso, i propri ideali, i propri pregi e, soprattutto, i propri difetti, quasi fosse un alter ego pretesco. Sul piano puramente umano, tuttavia, è evidente l’equanime e compassionevole simpatia per entrambi: così come il “trinariciuto” Peppone non è il male assoluto, don Camillo, più di tanto, non è un sacerdote modello. Talora collerico, talaltra timoroso, spesso insofferente, il temperamento di don Camillo si può ben sintetizzare nella sua celebre frase: “Le mani sono fatte per benedire ma i piedi no!”. Eppure, nonostante tutto, don Camillo è un santo, nel senso etimologico del termine: è consapevole che non c’è altra salvezza se non nel Cristo, al quale docilmente si affida e con il quale quotidianamente parla. Gli impareggiabili dialoghi tra don Camillo e il Crocefisso della sagrestia sono qualcosa di più di un capolavoro letterario. Quelle pagine straordinarie valgono più di mille catechesi: sono l’esemplificazione del cristianesimo come incontro personale tra l’uomo e il Figlio di Dio, tra i quali si intreccia un dialogo traboccante di umanità, prima ancora che di divinità.

È significativo che nei racconti di Mondo piccolo prevalgano un linguaggio e un’interpretazione della vita in chiave umoristica: Guareschi imprime nella sua narrativa il distacco scanzonato di chi, prendendo così tanto sul serio Dio, non riesce a fare altrettanto con gli uomini. È anche per questo che, gli unici momenti in cui lo humour passa in secondo piano (non sparendo mai del tutto, però…) sono proprio i suddetti dialoghi con il Crocefisso. Ciò che invece nei racconti guareschiani non manca mai è una sottile e appena palpabile ma persistente patina di misericordia e di umana comprensione per tutti. Incapace di cinismo, lo scrittore emiliano – che pure ebbe grosse perplessità riguardo alle innovazioni del Concilio Vaticano II – anticipò di qualche anno l’intuizione di San Giovanni XXIII: distinguere il peccato dal peccatore. Sforzandosi di vivere cristianamente fino in fondo, Guareschi non riesce a prescindere da un non retorico senso di umana pietà. E lo fa senza lenti ideologiche, chiamando il male e il bene con il loro nome ma amando gli uomini e la vita fino in fondo. A cinquant’anni dalla morte, che ricorre domani, Giovannino Guareschi è bello ricordarlo anche così…