L’emergenza sanitaria. Poi l’emergenza climatica, seguita da quella energetica e alimentare. Il massimo paradosso di questa epoca sempre più indecifrabile è proprio nel fatto che veniamo da quarant’anni di sviluppo scientifico-tecnologico inarrestabile. Mai nessuna epoca è mai stata segnata da cambiamenti del know-how così prorompenti e radicali ma, al tempo stesso, non si può affatto dire che queste innovazioni siano state sempre impeccabilmente destinate al bene dell’umanità, né che la qualità della vita sia ovunque inequivocabilmente migliorata.
L’homo tecnologicus, lungi dall’essere più libero, è sempre più dipendente da dispositivi, che, in teoria, dovrebbero migliorargli la vita. Proprio in virtù della sua scarsa libertà, l’uomo contemporaneo è un uomo ansioso e bramoso di controllo su ogni aspetto della sua vita. Le élite attuali sono la quintessenza di questo materialismo uggioso e ossessionato dalla scarsità di risorse.
Lo si è visto molto chiaramente nelle crisi attuali, a partire da quella pandemica. Si è preferito puntare inizialmente su lockdown, restrizioni e costrizioni molto pesanti e dolorose per la collettività, trascurando quella che avrebbe dovuto essere la strada più ovvia: curare i malati e favorire la prossimità e la solidarietà. Si è poi puntato su campagne vaccinali che, alla fine della fiera, si sono rivelate piuttosto inefficaci sul piano strettamente sanitario e altamente disastrose sul piano della coesione sociale, con l’introduzione di uno strumento palesemente discriminatorio come il green pass.
Dinamiche simili si stanno ora ripetendo con la crisi energetica. L’errore più grande della politica – in particolare per quanto riguarda i governi europei – è stato quello di fossilizzarsi sull’austerity e sul sacrificio come unica via di uscita. Una narrazione accompagnata da affermazioni terribilmente riduttivistiche e superficiali del tipo: “Preferite la pace o il condizionatore?”.
La ristrettezza di vedute (non sappiamo se dovuta a scarsa onestà intellettuale o a scarsa comprensione dei problemi) rende gli uomini delle nostre élite dei novelli Polifemo. L’uomo con due occhi, al contrario, sa bene che, nell’affrontare una pandemia non vanno penalizzate le persone sane e, soprattutto, ai malati va garantito il diritto di scegliere come essere curati. Analogamente l’uomo con due occhi sa benissimo che se il Paese principale fornitore di energia entra in guerra con un Paese limitrofo, la soluzione più lungimirante non è nel comminare sanzioni che, alla fine, penalizzano tutti, bensì nel ripristino della Pace e, con essa, della prosperità.
Veniamo infine all’emergenza climatico-ecologica. Anche in questo ambito, è prevalso un approccio col paraocchi, non all’insegna di un cambiamento graduale, che tenesse conto delle esigenze di tutti, ma di una barricadera rivoluzione green, che sta lasciando sul campo una gran quantità di vittime, senza nessun vincitore. Risultato: per colpa della miopia e dell’ottusità degli eco-tecnocrati, una grossa fetta della popolazione nei prossimi anni dovrà rinunciare ai vecchi veicoli inquinanti, non potendo però permettersi le nuove costosissime vetture ecologiche. La narrazione secolarista attuale dà quindi per scontata la scarsità di risorse e sottovaluta notevolmente la capacità dell’uomo di elaborare soluzioni in grado di soddisfare il più alto numero di persone.
In questo scenario desolante, arrivano a rompere gli schemi due passi evangelici ingiustamente trascurati. Il primo afferma: “[…] non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure, il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure, io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6,25-35).
Il secondo passo, ancor più noto, rievoca la moltiplicazione dei pani e dei pesci, unico miracolo, al di fuori della Resurrezione, ad essere presente in tutti e quatto i Vangeli (cfr Mt 14,13-21; Mc 6,30-44, Lc 9, 12-17, Gv 6,1-14). Da una situazione di oggettiva scarsità alimentare (cinque pani e due pesci per sfamare alcune migliaia di persone), Gesù ottiene una quantità di cibo tale, da far avanzare dodici ceste. Per ottenere il prodigio, però, deve avere la collaborazione dei discepoli, affinché mettano quel poco che hanno a disposizione di tutti, evitando di tenerlo egoisticamente per sé.
Se il Vangelo ci dice che non moriremo di fame e che il mondo dispone di risorse sufficienti per vivere in armonia, per quale motivo nella realtà avviene l’esatto contrario? C’è un’unica spiegazione possibile: l’umanità ha perso (o forse non ha mai avuto) la capacità di condividere i beni preziosi che il buon Dio ci mette a disposizione nel creato. Chi invoca continue emergenze e pontifica di crisi alimentari, sanitarie ed energetiche evidentemente sottovaluta la creatività umana, l’attitudine al problem solving e, soprattutto, la capacità dell’essere umano di redistribuire la ricchezza nel modo più equo possibile. Oppure è palesemente in malafede e i suoi scopi non sono troppo limpidi.