Intervista alla Band Rock cristiana calabrese “Kantiere Kairos” sul loro nuovo album “Il seme”, uscito recentemente dopo l’enorme successo dell’album precedente “Il soffio”. Kantiere Kairos, evangelizza divulgando la parola di Dio attraverso la musica e dei brani dedicati a Dio e a Maria.
La band è formata da Antonello Armieri – voce e chitarra acustica; Davide Capitano – basso; Gabriele Di Nardo – batteria e percussioni; Jo Di Nardo – chitarre; Roberto Sasso – tastiere, synth e programmazioni.
Abbiamo intervistato Antonello Armieri, cantautore della band rock cristiana.
Kantiere Kairos è un cantiere verso il cielo. Com’è nata la vostra band?
I fondatori della band sono Jo Di Nardo e suo fratello Gabriele, che nel 2008 mi parlarono della loro intenzione di arrangiare canzoni liturgiche in stile pop rock. L’intento era quello di rivestire il messaggio evangelico con vesti musicali che stuzzicassero la curiosità di chi invece crede che il “linguaggio musicale cristiano” sia solo ed esclusivamente arcaico. Tale progetto, dal nome Kairòs, rimase fermo fino al 2013, anno in cui un pellegrinaggio a Medjugorje chiuse il cerchio: tornammo col cuore ricolmo della consapevolezza che bisognava mettere in moto quello che era stato seminato nel cuore dei fratelli Di Nardo. Si unirono Davide e Roberto. Scrivemmo il primo disco in pochi giorni e cambiammo il nome in Kantiere Kairòs, proprio perché il lavoro di conversione richiede tempi lunghi e impegno costante.
Antonello, in che modo ti sei avvicinato al Signore?
La parrocchia l’ho sempre frequentata, così come tutti gli altri della band. Abbiamo sempre dato una mano nel coro ecclesiale dei nostri rispettivi paesi. Anche se forse la nostra presenza attiva era più dettata dal fatto di voler fare musica che non dalla consapevolezza che davanti ai nostri occhi si compiva il miracolo più bello dell’intera umanità. Poi appunto, al ritorno da Medjugorje (2013), era come se quella pace inaspettata nel cuore avesse tolto un velo che copriva tutte le cose e i pensieri per fare spazio alla voglia incontenibile di testimoniare agli altri la concretezza e “l’accessibilità” a Dio per CHIUNQUE, perché il Signore è lì in silenziosa pazienza nel cuore di ognuno. Ovviamente se non fosse stato per Maria…
Come nasce questo nuovo album “Il seme”?
Nasce dal cammino intrapreso da ognuno di noi nell’arco di questi due anni, raccogliendo le nostre esperienze e quelle degli altri. Il cantiere di cui sopra è appunto la consapevolezza che ogni giorno presenta delle prove diverse. Ma affrontare il tutto, avendo come obiettivo il germogliare del seme, rende ogni sforzo più prezioso. L’album parla appunto di come il seme dalla sua morte, alla trasformazione ed evoluzione, è il concetto che raccoglie in sé ogni difficoltà affrontata e superata.
Perché avete intitolato questo album “Il seme”?
Perché ogni canzone descrive il tesoro che si nasconde dietro ogni apparente “fine”, morte, prova, persino peccato, perché è nel dolore e nella caduta che spesso si chiede davvero una mano al Signore. E Lui non aspetta altro.
In questo secondo album c’è una canzone dedicata a Natuzza ed una a Chiara Corbella Petrillo. Perché avete scelto proprio queste due donne?
Con Chiara è stato “amore” a prima vista. Con Natuzza il coinvolgimento è stato più lento e graduale, fino ad amarla profondamente. Un po’ perché se n’è parlato sempre troppo in termini “sensazionalistici” ed eccessivamente sovrannaturali, due approcci che possono incuriosire o tenere lontani. Abbiamo sempre rimandato l’approfondire, perché non volevamo essere dei semplici curiosi, né tantomeno essere alla ricerca di elementi inspiegabili. Volevamo provare a conoscerla umanamente, leggere i libri su di lei, ascoltare le persone che l’hanno conosciuta (casualmente anche noi l’abbiamo incontrata diversi anni fa), guardare i suoi filmati pubblici, ecc. E la figura che ne è venuta fuori è quella di una dolcissima e profondamente mamma meridionale, sorridente come il sole e familiare come se l’avessimo sempre conosciuta. Così anche noi ci siamo “naturalmente” innamorati di lei, della sua illimitata e infinita gentilezza e disponibilità nell’accogliere chiunque. Capendo innanzitutto che la sua forza stava nell’offrire amore, semplicemente ascoltando e “parlando” alla gente, parlando di Dio.
Con Chiara, invece, è stato tutto più veloce: casualmente abbiamo letto il suo libro nel giorno del suo anniversario di nascita in Cielo (13 giugno) e la sua forza, la sua piena consapevolezza di vita, la sua umiltà e poi il suo legame a Medjugorje ed Assisi, ci hanno travolto. Anche lei l’abbiamo sentita come una persona familiare da sempre, senza averla mai conosciuta.
Alcune canzoni dei vostri album sono dedicati alla Madonna. Tu sei molto legato alla Madonna. Come l’hai incontrata nella tua vita?
Prima di Medjugorje non sapevo che fosse presente tutti i giorni nella mia vita. Ma oggi posso dire che c’è sempre stata.
Ogni membro della band, suppongo che proviene da un percorso di fede diverso. Puoi parlarci del cammino di fede da cui provenite?
“Nella pratica”, bene o male tutti con le medesime caratteristiche: coro parrocchiale, cammini spirituali tipici dei giovani (Gmg, incontri pastorale giovanile, ecc.). Poi sono arrivati il fuoco e la fame di Dio nell’istante in cui ci siamo resi conto che ogni giorno è un nuovo e meraviglioso stupirci: Dio è accanto e dentro ogni essere umano. Iniziare ad ascoltarLo per davvero è stata la scoperta più sorprendente al mondo. Che ognuno può fare.
Qual è il messaggio di fede che volete testimoniare per mezzo della vostra musica?
Dio non è venuto per i giusti. Sappiamo che è venuto a guarire i malati, i disperati, i persi, insomma i peccatori. Bene, benissimo. Significa che noi siamo sulla lista, ed è un’ottima notizia che non possiamo tenere per noi. La cantiamo a tutti attraverso quello che ci piace fare di più: il rock.
Servizio di Rita Sberna