La solitudine dei cristiani “social”

La solitudine dei cristiani “social”

I dilemmi che sorgono, quindi, sono: esiste un galateo del buon cattolico social? Che tipo di rapporti instaurare con chi condivide con noi il dono della fede? Quanto tempo è lecito dedicare alle reti sociali? Quanto è forte il rischio che, anche animati da buone intenzioni, si finisca per diventare dipendenti dalle nuove tecnologie e si trascurino famiglia, lavoro, amicizie e – soprattutto – preghiera? Le certezze, in tal senso, sono poche ma ci sono alcuni principi che ci paiono inderogabili. In primo luogo, nessuna comunità virtuale potrà mai sostituire le comunità parrocchiali, i movimenti o i gruppi di preghiera, nei luoghi fisici dove incontrarsi, integrarsi, formarsi e vivere pienamente la propria vita sacramentale. In secondo luogo, chiunque nutra dubbi di fede o perplessità sulla Chiesa o sul Papa, dovrebbe in primo luogo rivolgersi al proprio parroco o alla propria guida spirituale, evitando – come fanno taluni – di rivolgersi alla moltitudine indistinta degli amici di Facebook o dei seguaci di Twitter. Stesso discorso vale per i media di orientamento cattolico e per i leader d’opinione che li popolano: non sempre questi personaggi esprimono posizioni indipendenti e obiettive e la loro vera e presunta autorevolezza non deve essere scambiata per magistero ufficiale.

Molte di queste persone dalla ipertrofica vita social non hanno meno fede di altre ma, probabilmente, nel loro cammino spirituale, è mancata loro la grazia di trovare dinnanzi a sé esempi vivi e generosi di santità e forse nemmeno di svolgere esperienze intense e trasformanti come i pellegrinaggi o le opere di misericordia. In altri casi si tratta di persone che, per le più disparate ragioni, hanno perso i legami con le loro comunità originarie. Pertanto, alcuni degli atteggiamenti ricorrenti in questa categoria di fedeli sono l’amarezza, l’angoscia, il pessimismo e – in molti casi – un più o meno sottile livore verso la comunità, la Chiesa istituzionale e i suoi pastori, dal Papa in giù. Queste numerose ‘pecore senza pastore’ che, con grande facilità, possiamo incontrare in rete, non sono da ignorare ma, entro i limiti del possibile, da accogliere e rassicurare, facendosele amiche e pregando per loro.

Non c’è nulla di male – tutt’altro – nel cercare di allargare la propria cerchia di amici cattolici attraverso le reti sociali. Ancora più lodevole è chi usa gli stessi strumenti per avvicinare i lontani dalla fede. Purché non ci si dimentichi che il contatto umano non virtuale, presto o tardi, si rivela sempre indispensabile, anche perché, rispetto a ciò che filtra da uno schermo, la realtà concreta è molto più difficile che possa mentire o ingannare. Con buona pace di chi da qualche anno stravede per la presenza cristiana nei social e indica nella rete la nuova frontiera dell’apostolato moderno, non va mai dimenticato che il nostro è un Dio incarnato, allergico alle astrazioni e alle decettive vaghezze del mare magnum cibernetico. Riflettiamoci…