Ninive, Nigeria, Nicaragua: il sangue dei martiri è il seme dei nuovi cristiani

Ninive, Nigeria, Nicaragua: il sangue dei martiri è il seme dei nuovi cristiani

A distanza di quasi un lustro, altre due N si stanno drammaticamente aggiungendo al panorama dei martiri del XXI secolo: quelle della Nigeria e del Nicaragua. Questi due paesi rappresentano il fulcro delle nuove persecuzioni in Africa e in America Latina, dove, il fenomeno si manifesta in maniera diversa e speculare.

In Nigeria, dove ormai Boko Haram sembra in ritirata, si sta facendo strada una nuova milizia armata, quella dei pastori di etnia Fulani. Nel solo stato di Benue, le vittime cristiane di questa nuova ondata di fanatismo sono state circa 500 dall’inizio dell’anno: se le aggressioni non saranno fermate, si rischia un genocidio paragonabile a quello del Ruanda. Chi non cade sotto i colpi dei Fulani viene depredato dei propri raccolti o dei propri bestiami, poiché l’attuale ondata terrorista sta attecchendo in modo particolare nell’ambiente rurale della Middle Belt nigeriana. Incendi alle chiese, aggressioni, stupri: secondo le testimonianze più dirette vi sarebbe un vero e proprio tentativo di islamizzare la Nigeria.

Secondo un rapporto della Società Internazionale per le libertà civili e lo stato di diritto sono stati almeno 16mila i cristiani nigeriani uccisi, di cui 3750 per mano dei pastori Fulani. Questi ultimi, un tempo muniti di soli bastoni, oggi vanno in giro con l’AK47 sottobraccio. Non è chiara la provenienza delle armi dei Fulani e chi li finanzi, sebbene l’attuale presidente nigeriano Muhammadu Buhari appartenga a questa etnia, quindi, secondo quanto sostiene il vescovo di Lafia, monsignor Matthew Ishaya Audu, il capo dello stato sarebbe il sostanziale responsabile quantomeno dell’inerzia di polizia e governo nella repressione del fenomeno criminoso.

Diverso è il caso del Nicaragua, dove le persecuzioni sono di matrice eminentemente governativa. Nemmeno il cardinale Leopoldo Brenes e monsignor Waldemar Stanislaw Sommertag, rispettivamente presidente della Conferenza Episcopale e nunzio apostolico, sono stati risparmiati, sfuggendo per miracolo a un attentato da parte di un gruppo paramilitare. La natura della repressione non è religiosa ma politica. Il presidente Daniel Ortega è da quarant’anni l’uomo di spicco del movimento sandinista – marxista e anticlericale – salito al potere dopo anni di opposizione e guerriglia. Dopo l’annunciata riforma delle pensioni e i vistosi tagli allo stato sociale, la popolazione è scesa in piazza, per chiedere le dimissioni di Ortega, che aveva peraltro fatto abrogare il limite dei due mandati presidenziali. La Chiesa, da parte sua, ha optato per la strada del dialogo, sia pure in chiave molto critica, ma ciò non ha risparmiato – come accennato – aggressioni ai danni del clero, fino ai suoi vertici, oltre che saccheggi e profanazioni delle chiese, dove trovano rifugio molti dissidenti. In Nicaragua, le tensioni vanno avanti dallo scorso aprile e, a metà luglio, i manifestanti e gli oppositori assassinati sono stati almeno 350, con migliaia di feriti.

Nigeria e Nicaragua sono due espressioni di una chiesa osteggiata e sofferente, che sta vivendo la propria via crucis. Ogni Chiesa che viene perseguitata, subisce tale sorte, però, in quanto Chiesa viva, dal cuore pulsante, in grado di essere segno di contraddizione e di parlare al popolo. E tutto ciò, per il potere, è sempre una spina nel fianco.