La storia di un popolo o di una civiltà si scrive nei campi di battaglia, nelle urne elettorali, nelle piazze e – come nel caso in oggetto – nei tribunali. Mentre il mondo intero è ancora alle prese con la pandemia e, da alcune settimane, in grandissima apprensione per la crisi diplomatica russo-ucraina, un’altra grande partita si sta giocando, lontano dai riflettori, ai confini settentrionali d’Europa. Lo scorso 24 gennaio, presso la Procura di Helsinki, si è aperto il processo contro la deputata finlandese Päivi Räsänen. 62 anni, medico, madre di sette figli, nonna di cinque nipoti, la Räsänen è in Parlamento dal 1995 e milita nei Democratici Cristiani. Dal 2001 al 2005 è stata Ministro dell’Interno.
Qual è l’infame colpa di questa donna? Semplicemente quella di aver rivendicato la sua identità cristiana e, assieme ad essa, la visione dell’uomo presente nella Bibbia: “Maschio e femmina li creò” (Gen 1,27). Quest’ultimo è anche il titolo di un saggio firmato dalla stessa Räsänen nel 2004, commissionatole dalla Chiesa luterana evangelica, di cui fa parte. A distanza di quasi un ventennio dalla pubblicazione, le lobby lgbt hanno deciso che quel libro va messo all’indice. Gli altri due capi d’accusa sono due affermazioni fatte nel 2019, in due momenti diversi, prima in un tweet, poi in un’intervista radiofonica, anch’esse in difesa della famiglia naturale, sulla scorta dei versetti di San Paolo: “[…] gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento” (Rom 1,27).
Nulla di più inaudito e scandaloso per un paese tra i più secolarizzati d’Europa. Dovendo lottare da sola contro il pensiero dominante, divenuto ormai patrimonio delle masse, Päivi Räsänen offre una testimonianza di grande coraggio. “La Bibbia per me è una questione di vita o di morte”, ha dichiarato la parlamentare finlandese durante il processo, che riprenderà il prossimo 14 febbraio. La sua vicenda ha mobilitato associazioni come CitizenGO, che ha raccolto più di 300mila firme a sostegno dell’ex ministro, tenendo sit-in presso la maggior parte delle ambasciate finlandesi in Europa, Roma compresa.
Il processo contro Päivi Räsänen è stato possibile in virtù di una legge anti-omofobia tra le più severe e stringenti del mondo. Un pericolo che l’Italia ha sfiorato con il ddl Zan, prima che questo venisse respinto dal Senato lo scorso 27 ottobre ma che, in futuro, potrebbe ripresentarsi in modo ancora più aggressivo. In particolare, nel Centro e nel Nord Europa, in quei paesi dove il cattolicesimo è assente o fortemente minoritario, le vere religioni sono diventate le ideologie secolarizzate, connotate da una serie di culti ormai facilmente riconoscibili: l’ecologia, l’immigrazione, l’aborto e, per l’appunto, i diritti lgbt. Anche per questo, le prese di posizione della Räsänen, così in controtendenza rispetto al pensiero dominante nel suo paese, sono così significative. Per certi versi, è più degno di ammirazione il modo di esprimersi e di fare politica dell’ex Ministro dell’Interno finlandese di quello di tanti politici italiani, cattolici soltanto nominalmente.
Non è la prima volta che un cittadino europeo viene posto sotto accusa per le sue idee cristiane. Un caso clamoroso è stato quello del pastore londinese John Sherwood, arrestato per aver recitato versetti biblici ‘omofobi’ sulla pubblica piazza ma non va dimenticato il processo (risoltosi con l’archiviazione) che nel 2016 vide coinvolto il cardinale arcivescovo di Valencia, Antonio Cañizares Llovera. È la prima volta, tuttavia, che a finire alla sbarra è stato un politico, a testimonianza di quanto le lobby lgbt siano in grado di infiltrare i parlamenti e condizionare pesantemente il processo democratico.
Il caso Räsänen è infine un segno di quell’“ecumenismo del sangue” più volte evocato da papa Francesco. I nemici del cristianesimo non vanno troppo per il sottile e non fanno distinzioni tra cattolici, protestanti e ortodossi. Il martirio “rosso” che si consuma in molti paesi afro-asiatici e il martirio “bianco” che caratterizza l’Europa e, in parte, le Americhe, accomuna i cristiani di ogni denominazione. Alcuni sono chiamati a dare la loro stessa vita, altri ‘soltanto’ a rinunciare a privilegi e potere e a umiliarsi davanti al mondo. Ma è forse proprio in questo destino comune che la Chiesa può tornare unita, esaudendo quella che fu l’ultima preghiera di Nostro Signore: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,20).