In questa convulsa fase della seconda ondata di Covid, tra le poche certezze che abbiamo vi è che questa volta a messa si potrà andare. Salvo imprevedibili peggioramenti della pandemia, la libertà di culto è salva. Ogni istante trascorso accanto a Dio nell’eucaristia, è un dono incommensurabile, di cui ogni fedele dovrebbe essere sempre grato. Partendo da questa premessa, va comunque preso atto che, da marzo a oggi, anche su questo fronte non è affatto andato “tutto bene”. Non solo è nettamente crollata la partecipazione alle liturgie domenicali, ma è anche chiaro come il sole, che la salute spirituale della gente non è in ottimo stato e che, anche tra i cattolici praticanti, si registra stanchezza, esasperazione, angoscia e malinconia. Anche a messe ripristinate, molte attività, dagli incontri oratoriali ai ritiri, fino ai raduni nazionali e regionali delle grandi comunità laicali, hanno subito uno stop o un brusco rallentamento. Abbiamo assistito, è vero, al boom delle catechesi in videocall, tuttavia questa modalità – in ogni caso utile nelle emergenze – non è pienamente soddisfacente per chi voglia cementare un vero rapporto di fraternità nella preghiera. Va anche aggiunto che non sempre i sacerdoti e le guide spirituali si sono rivelati all’altezza, quando si è trattato di rincuorare i loro fedeli e parrocchiani, al cospetto di un evento senza precedenti, mai vissuto da questa generazione.
In questo nuovo delicato passaggio, la tentazione dello scoraggiamento è forte come e più di prima. L’abissale solitudine in cui molti si ritrovano può diventare l’anticamera della disperazione oppure, al contrario, l’occasione di un nuovo incontro con Dio. Ritrovarsi isolati e in un lockdown più o meno stringente, di per sé, non è affatto un bene. Ciononostante, Dio, come in ogni situazione, può usare un male per il compimento di un bene più grande. Non sta certo a noi fare prediche o dare suggerimenti su come vivere queste settimane difficili. Possiamo però prendere atto della realtà presente e mettervi in pratica tutto ciò che la Chiesa ci ha insegnato: non astratte e sofisticate dottrine, né meri principi morali, bensì modi di essere che avvicinano l’uomo a Dio, “cristificandolo”.
In primo luogo, non dobbiamo mai dimenticare che Dio ha il potere di guarire sia l’anima che il corpo. Se Gesù ha compiuto guarigioni scientificamente inspiegabili e ha continuato a farlo nei secoli attraverso l’intercessione dei santi, per quale motivo non potrà guarire i malati di Covid? Il che potrà sembrare anche una banalità ma è importante ricordare costantemente che, soprattutto nella malattia, Dio non lascia mai soli i suoi figli. L’onnipotenza di Dio non si limita alla guarigione delle singole persone ma arriva anche a fermare pestilenze e pandemie. Già a marzo, avevamo ricordato le varie occasioni in cui, supplicando Gesù, la Madonna o i santi, il popolo è riuscito a fermare flagelli ben peggiori dell’attuale. E noi vogliamo credere che una cosa del genere non sia possibile nel tempo che viviamo? Non si tratta, ovviamente, di sminuire il ruolo della scienza o della medicina ma, al contrario, di corroborarle, affinché realizzino appieno la loro missione di salvare vite umane.
La preghiera per la guarigione da una malattia o per la fine di una pandemia, comunque, non va mai disgiunta da un altro principio imprescindibile che ci è sempre stato insegnato: chiedere a Dio che ci sollevi dalla croce che portiamo addosso è legittimo, tuttavia è di gran lunga più importante supplicarlo di aiutarci a portare quella stessa croce. La nostra generazione è cresciuta senza mai imparare a soffrire. Qualunque patimento, anche di piccola entità, è sempre visto come un ostacolo insormontabile, senza pensare che, in realtà, dalle sventure e dai fallimenti di qualunque natura, si può trarre una lezione per crescere e temprare il nostro carattere. Non è assolutamente volontà di Dio tenerci nella sofferenza, tuttavia Egli la permette, per renderci compagni del suo cammino di redenzione che passa necessariamente per il Calvario. Eccoci, quindi, a una conclusione che più scandalosa e controcorrente non si può: possiamo essere felici già sotto il peso nostra croce. Perché, quindi, non potremmo esserlo anche in tempo di Covid?
Ultimo ma non ultimo: prima ancora che preservare il nostro corpo dai virus, preserviamo la nostra mente dai pensieri tristi. Anche quest’ultima non è un’affermazione ovvia, poiché la negatività si insinua nell’animo in modi subdoli, ad esempio, partendo da preoccupazioni legittime, che, a poco a poco, diventano vere e proprie nevrosi e ossessioni. Lo possiamo toccare con mano in questi mesi, in cui siamo bombardati ogni giorno e ogni ora da vagonate di notizie sempre più catastrofiche, in grado di modificare in negativo la nostra percezione della realtà. Anche per queste ragioni, è importante non solo pregare ma anche meditare, facendolo con modalità giuste e rigorose, consigliati – chi ce l’ha – dal proprio direttore spirituale. Vi sono tanti tipi di meditazione accettati e, in alcuni casi, addirittura consigliati dal magistero ecclesiale, che coinvolgono sia l’anima che il corpo. Non è peregrino ricordare che, con il Signore non si intreccia mai un monologo ma sempre un dialogo. Per ascoltare cosa Dio ci dice, allora, è fondamentale sgomberare l’anima dai nostri pensieri, specie se tristi e angoscianti, per far entrare Lui. Affinché corpo e anima arrivino ben allenati a questo incontro, compatibilmente con quanto consentito dall’ultimo DPCM, può essere di grande aiuto camminare molto o fare attività fisica all’aperto, osservando cose, ascoltando suoni e annusando odori che un minimo ci allontanino dagli aspetti più alienanti della nostra quotidianità. Stando certi che Dio può parlarci addirittura attraverso l’odore inebriante dell’arrosto che arriva dalle case circostanti o il canto degli uccelli al mattino. Tante piccole candele, apparentemente insignificanti, che contribuiscono anch’esse a illuminare il buio di questo tempo.