Papa Francesco: essere con Dio

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La preghiera è uno spazio comune di due protagonisti: uomo e Dio. Quando noi vogliamo, Dio è sempre lì per noi. Anche nei casi in cui non lo sentiamo oppure quando a noi sembra di non essere ascoltati secondo quanto desidereremmo. La certezza della nostra fede è proprio questa: Lui ha sempre l’orecchio teso verso di noi. Nell’udienza odierna Papa Francesco ci ricorda questa doppia dinamica, che richiede la presenza piena di tutti e due i soggetti.

Ciascuno di noi almeno una volta nella vita ha fatto l’esperienza di aver domandato nella preghiera una cosa, che non è accaduta o non si è compiuta. Noi traiamo automaticamente la conclusione dell’assenza del Signore in quel momento della nostra esistenza. Il Catechismo ci offre una buona sintesi sulla questione. Ci mette in guardia dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico. La preghiera non è una bacchetta magica: è un dialogo con il Signore. In effetti, quando preghiamo possiamo cadere nel rischio di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi (cfr n. 2735). 

Meglio – ci ricorda il Pontefice – lasciar fare a Dio, secondo quanto ci dice san Paolo, invitandoci all’umiltà, perché “nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare” (cf. Rm 8,26). Quando preghiamo dobbiamo essere umili, perché le nostre parole siano effettivamente delle preghiere e non un vaniloquio che Dio respinge. Si può anche pregare per motivi sbagliati: ad esempio, per sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensa Dio di quella guerra.

Precisamente qui si innesca la domanda fondamentale, che il Santo Padre ci suggerisce oggi. Noi, mentre preghiamo, certi che Dio è con noi, siamo veramente con Lui, realmente presenti a ciò che Egli ci propone e che è il nostro massimo bene? Nella preghiera, è Dio che deve convertire noi, non siamo noi che dobbiamo convertire Dio. È l’umiltà. Io vado a pregare ma Tu, Signore, converti il mio cuore perché chieda quello che è conveniente, chieda quello che sarà meglio per la mia salute spirituale.

Un’altra caratteristica necessaria per la nostra preghiera, è il coraggio. Il coraggio di chiedere, nonostante il fatto di non vedere le soluzioni immediate. Perché se anche non accade nulla, possiamo aver sperimentato che con il tempo, le cose si sono sistemate ma secondo il modo di Dio, il modo divino, non secondo quello che noi volevamo in quel momento. Il tempo di Dio non è il nostro tempo. 

Ne è un eccellente esempio la vicenda della figlia di Giairo (cfr Mc 5,21-33). (…) Per un certo tempo, Giairo ha dovuto camminare nel buio, con la sola fiammella della fede. Signore, dammi la fede! Che la mia fede cresca! Chiedere questa grazia, di avere fede. Gesù, nel Vangelo, dice che la fede sposta le montagne. Ma, avere la fede sul serio. Gesù, davanti alla fede dei suoi poveri, dei suoi uomini, cade vinto, sente una tenerezza speciale, davanti a quella fede. E ascolta.

Infine, Papa Francesco ci ricorda, che la nostra è la stessa esperienza fatta già da Gesù, il Dio incarnato, nel Getsemani. “Padre, se possibile, allontana da me questo che mi aspetta”. Sembra che il Padre non lo ha ascoltato. Il Figlio dovrà bere fino in fondo il calice della passione. Ma il Sabato Santo non è il capitolo finale, perché il terzo giorno, cioè la domenica, c’è la risurrezione. Il male è signore del penultimo giorno: ricordate bene questo. Il male mai è un signore dell’ultimo giorno, no: del penultimo, il momento dove è più buia la notte, proprio prima dell’aurora. Tante volte, il penultimo giorno è molto brutto, perché le sofferenze umane sono brutte. Ma il Signore c’è e all’ultimo giorno Lui risolve tutto.