Il presepe e l’albero: storie d’amore e d’immortalità

presepe con albero
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La storia e il significato dei nostri principali simboli natalizi sono raramente oggetto di riflessione culturale tra le famiglie, a scuola e persino nelle parrocchie. In compenso, diventano spesso oggetto di diatribe mediatiche. Partiamo dall’albero di Natale e sgombriamo subito il campo da equivoci: pur essendo le sue origini certamente pagane, esso è un simbolo pienamente cristiano. Sorta in Germania alla fine del XVI secolo, questa tradizione natalizia presenta un antefatto, risalente a quasi un millennio prima, ovvero agli anni in cui quella stessa terra conobbe la sua prima evangelizzazione, grazie all’opera di San Bonifacio. Imbattutosi in un gruppo di pagani riuniti intorno alla Sacra Quercia del Tuono di Geismar in adorazione del dio Thor, il santo proclamò: “Questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor!”. E prese ad abbattere a colpi di scure l’albero sacro che si spezzò in quattro parti. Il crollo del tronco svelò un piccolo abete, che San Bonifacio indicò ai pagani come il loro nuovo “sacro albero”, simbolo di una “vita senza fine, perché le sue foglie sono sempre verdi”, mentre la sua forma a punta pare indicare il cielo. In questo modo, Bonifacio riuscì a convertire i pagani, invitandoli a riunirsi intorno all’albero nelle loro case e a non compiere più “riti di sangue” ma di “riti di bontà” e a scambiarsi “doni d’amore”.

L’abete richiama anche l’Albero della Vita e i doni che ci scambiamo ai suoi piedi, simboleggiano il dono di se stessi. Da qui l’usanza, sotto Natale più che in altri momenti dell’anno, di dedicare un tempo particolare ai poveri, ai malati e, in generale, ai meno fortunati.

Vedere un albero di Natale moribondo e dalle fronde poco verdi è dunque uno spettacolo particolarmente deprimente: sul piano simbolico fa pensare ad un’immortalità negata, ad un vigore fiaccato, ad uno splendore beffeggiato. Qualcuno ricorderà, alla fine del 2017, la vicenda di “Spelacchio”. Se molti romani e italiani ne rimasero comprensibilmente rattristati, ben venga se questo episodio avrà risvegliato in loro una nostalgia di bellezza, solidità, luce, calore e nobiltà d’animo. Solo l’inquietudine per l’assenza o la perdita di cose belle, può rimettere in moto il desiderio di quelle cose e cambiare il mondo.

Quella stessa nostalgia e quello stesso desiderio albergavano nel cuore di San Francesco d’Assisi in quel lontanissimo dicembre 1223, a Greccio: 800 anni fa, esatti. Tre anni prima, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa, Francesco era rimasto colpito in modo particolare dai luoghi della Natività, a Betlemme. La nostalgia di quella Grotta, dove Dio neonato aveva dischiuso gli occhi al mondo, non lo abbandonava, anzi, cresceva in lui in modo sempre più struggente. Non poteva accontentarsi di custodire il Bambino, con tutta la Sacra Famiglia, nel cuore, sentiva il bisogno incontenibile di vederli, di toccarli.

“Vorrei rappresentare il bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una greppia, e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”, disse in quelle circostanze Francesco, secondo quanto riferito nell’agiografia di Tommaso da Celano.

Non fu una decisione semplice quella di Francesco. Lui stesso aveva sempre snobbato le rappresentazioni degli eventi sacri, le considerava irrispettose del mistero di Dio, pertanto si domandò se quell’intuizione fosse davvero di ispirazione divina o il banale frutto della sua vanità personale. Chiese allora il permesso a papa Onorio III, poi chiese al suo amico Giovanni da Greccio, signore di quella zona, di aiutarlo mettere in piedi la prima rappresentazione della nascita di Gesù nella storia.

Quella del primo presepe è una vicenda di stupore, di commozione e di miracoli. Se l’albero ci ricorda la maestosità, l’ineffabilità e l’immortalità di Dio, il presepe ce ne offre l’altro aspetto, quello più sorprendente ma non meno vero: il Dio bambino, il Dio fragile, il Dio che si fa cullare e che ha bisogno di noi. Il Dio per la prima volta visibile.

A chi poi considera il presepe un tratto cultural-religioso troppo forte, incomprensibile, persino offensivo per la sensibilità di altre fedi, lo si potrà raccontare per quello che comunque è sul piano umano: la rappresentazione della nascita di una famiglia che, dopo tante fatiche e tribolazioni, vive la gioia della nascita di un bambino e viene tributata di visite e di doni. Dietro la storia di ogni famiglia, c’è una storia d’Amore e nessuna storia d’Amore potrà mai offendere, al contrario potrà soltanto consolare e rallegrare.