Venerdì della XXXIII settimana del T. O.
20 novembre, sant’Edmondo re
Lc 19, 45-48
In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.
COMMENTO
Gesù giudice, braccio esecutore e maestro: tre meravigliose sfaccettature della personalità del Signore condensate splendidamente in un brano di San Luca relativamente corto.
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Nel Vangelo di oggi incontriamo anzitutto un giudice. Giudice supremo, giusto e inerrante, che condanna le attività commerciali del Tempio perché: “Sta scritto: la mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri”. Ecco la sentenza perentoria e irriformabile.
In seguito lo ritroviamo in un ruolo esecutivo, mentre scaccia Lui stesso i venditori e i cambiamonete. Con braccio potente e forza più divina che umana, il Signore esegue, mediante l’uso della forza materiale, la sentenza prima emanata. E ci riesce! Se consideriamo che potevano essere circa in mille i commercianti vari e usurai là insediati con le loro bancarelle, possiamo calcolare il carattere veramente energico dell’intervento di Gesù!
E finalmente lo contempliamo mentre insegna nel tempio, da saggio Maestro, dotato di un’arte retorica e di una grazia così particolari che “il popolo pendeva dalle sue labbra per ascoltarlo”.
I capi dei sacerdoti e gli scribi, però, erano molto lontani dall’ ammirare quel profeta così potente e attraente. Anzi! “Cercavano di farlo morire; ma non sapevano che cosa fare”. Gesù conosceva il loro odio letale, e lo sfidava con grande coraggio.
La vita del cristiano è la sequela del Signore: “christianus alter Christus”, dicevano i Padri. E così è. Anche noi dobbiamo preoccuparci con zelo per le cose di Dio e combattere per difendere i suoi diritti sia nell’ambito temporale che ecclesiale. E questo comporta l’odio mortale degli avversari. L’arma nostra deve essere l’insegnamento, il saper trasmettere il messaggio di Nostro Signore, chi in ambito privato chi pubblicamente, con la capacità di convincere di chi parla con autorità e con entusiasmo, cioè, di chi mette in pratica fino in fondo quello che insegna. Quello è lo scudo protettore dei servi del Cristo: la parola. Parola detta in una conversazione informale, in un incontro di preghiera, dall’alto di un ambone. Parola detta con fede, con coerenza di vita, con ardore e sapienza.
Viviamo obbedienti alla parola, proclamiamola sempre e in ogni circostanza, e così riusciremo a combattere per il Signore protetti dal suo scudo di salvezza.