Padre Nike, il prete skizzato che evangelizza con la danza

Padre Nike, il prete skizzato che evangelizza con la danza

Questa è la storia di un giovane #ragazzo che per anni ha amato la #danza, ballava l’hip-hop e sognava di fare successo in merito a questa sua grande passione.

Amava la vita, il divertimento, gli amici e la sua ragazza. Fu proprio lei a proporgli un pellegrinaggio a #Medjugorje, lui all’epoca era un diciottenne … e proprio in quel pellegrinaggio la Regina della Pace lo strappa dalle seducenti luci della danza e dalla sua ragazza, per condurlo ai ceri dell’altare.

Oggi quel ballerino è un sacerdote passionista, Padre Maurizio De Sanctis che per gli amici è Padre Nike o Skizzo.

Perché ti chiamano Padre Nike o Skizzo?

Questo soprannome “Padre Nike” è nato in maniera molto spontanea. Ero diventato appena sacerdote e fui mandato a fare una missione molto difficile a Bari, nel quartiere San Paolo, una parrocchia abbastanza problematica da gestire. In quel luogo, sono diventato l’amico dei più lontani, soprattutto di quei ragazzi che vivevano lontani dalla parrocchia e dalla fede.

Quando ho finito la missione e stavo per ripartire, questi ragazzi mi hanno fermato e mi hanno dato un regalo, ed erano un paio di scarpe nike. Uno dei ragazzi più piccoli, avvicinandosi al mio orecchio mi disse “Padre, questa notte le abbiamo rubate apposta per te”.  Erano dei teppisti, non potevo dirgli di no! Ho accettato le scarpe, ed il giorno dopo ho trovato un saluto sul giornale con un articolo in evidenza con su scritto “padre Nike” per la prima volta mi avevano chiamato così.

All’inizio non mi piaceva visto che era il nome di una multinazionale ma non sono riuscito più a togliermi questo soprannome … così ho dato un significato di evangelizzazione: le nike hanno le ali e a me le ali mi servono per annunciare il Vangelo e farlo velocemente.

Poi mi chiamano anche “Skizzo” e mi si addice perché sono un prete matto e skizzato.

Partiamo dalla danza. Quando scopri di avere questa grande passione?

Ho avuto una sorella che ballava la danza classica e per tanti anni l’ho vista ballare e danzare. Ero molto legato a lei, oggi mia sorella è in cielo, in paradiso con Gesù, era straordinaria, ballava a Parigi nelle grandi compagnie. Poi in Italia si era aperta una scuola di danza e grazie a lei mi sono appassionato alla danza. Ricordo che da piccoli facevamo insieme sempre i passi a due.

Lei mi ha contagiato la danza e lei mi diceva sempre che io le avevo contagiato la fede. Siamo stati un dono l’uno per l’altro, anche nella Bibbia la danza è un dono straordinario di Dio. La Bibbia è un invito continuo a lodare e benedire Dio, danzando anche con il corpo.

Io attualmente faccio un’ora al giorno di preghiera danzando, offro al Signore la lode del corpo, ovviamente faccio anche le altre preghiere di meditazione sulla passione di Gesù, essendo un passionista.

Il corpo è uno strumento, è un dono straordinario che il Signore ci ha dato. Grazie a mia sorella ho intrapreso questo percorso della danza che non ho mai lasciato nemmeno da sacerdote.

La tua ragazza ti invitò ad andare a Medjugorje. E’ lì che il Signore si fece sentire in maniera forte?

Ero adolescente e questa ragazza mi piaceva particolarmente, non sapevo come incontrarla, così si presentò quest’occasione di andare a Medjugorje. Di questo luogo, si sentiva parlare tanto, era il 1984 e c’era ancora solo la chiesa e i veggenti che poi ho conosciuto e da quel giorno siamo diventati molto amici.

Io sono andato a Medjugorje solo per incontrare questa ragazza e lì invece, è successo tutto il contrario perché più che incontrare lei ho incontrato il Signore.

A Medjugorje ho capito che Dio era più importante di ogni cosa, più della danza, della mia vita e dei sacrifici … veniva prima di tutto.

Mi cominciai anche a preoccupare perché prima di allora io avevo sempre pensato che la cosa più importante doveva essere la danza e non Dio, quindi dentro di me cominciai a vivere questa forte contraddizione ritenevo improvvisamente Dio più importante della danza.

Mentre ero a Medjugorje, ci fu il messaggio della Madonna che per me fu un segnale forte e chiaro “Non potete servire due padroni”, e lì mi sono accorto di aver ricevuto una dolce carezza.

 Continuasti però a coltivare la danza. Venisti ammesso addirittura alla Scala di Milano?

Si è vero, tornando da Medjugorje ero sempre combattuto non sapevo se continuare a danzare o lasciare tutto perché sentivo che il Signore era più importante.

Con la ragazza la storia si era conclusa a Medjugorje, proprio perché avevo scelto Dio. Per curiosità sono andato poi a Milano ed ho fatto l’esame di ammissione per partecipare come ballerino alla scala di Milano. Eravamo 300 ballerini da ogni parte del mondo, e ricordo che c’era una sfilza continua di non ammessi. Non vedevo l’ora di sentirmi dire “non sei stato ammesso” e invece mi ammisero per ballare alla scala di Milano.

E’ stata dura e mi sono salvato grazie ad un altro pellegrinaggio da San Gabriele.

Infatti, il Santuario di San Gabriele all’ Isola del Gran Sasso (Teramo) rappresenta per te un luogo speciale. Perché?

In quel luogo mi sono ritrovato d’innanzi ad un giovane santo che per di più aveva il soprannome di “ballerino”, gli piaceva molto la danza, il teatro, infatti aveva fatto uno spettacolo e dopo era entrato in convento dai passionisti e nel giro di 6 anni è diventato santo. Era un ragazzo dal cuore d’oro, amava la vita ed era il leader delle compagnie. Mi ci sono ritrovato molto in lui. Quello che mi è successo in quel luogo, durante la santa messa è stato un qualcosa di straordinario e per molti anni l’ho tenuto solo per me. Poi ho deciso di raccontarlo nel mio libro.

Mi trovavo davanti all’altare mentre c’era la celebrazione dell’eucarestia, sentivo nel cuore che il Signore mi chiedeva “Entri o rimani fuori?”

Iniziai a non sentirmi molto bene, ero invaso spiritualmente e ad un certo punto ho sentito una voce forte e chiara che mi diceva “Ma ci rimani con me si o no?” Ho alzato lo sguardo e mi è sembrato di vedere in visione San Gabriele, io ho risposto “Si ci rimango”.

In quel luogo ho deciso definitivamente di entrare in convento e lasciare la danza.

Il desiderio della danza non ti ha mai abbandonato nemmeno nel momento in cui capisti che eri chiamato al sacerdozio. Allora come si conciliarono le due cose: passione e vocazione?

Più chiedevo al Signore di liberarmi dalla danza, più avvertivo nel cuore di dover danzare. A quel punto ne parlai con il mio direttore spirituale il quale mi disse di riprendere a danzare perché da quando ero entrato in convento, avevo lasciato definitivamente la danza.

Grazie al mio padre spirituale, mi sono rimesso a danzare e mi sono accorto che effettivamente il Signore mi chiedeva di coltivare quest’arte per proclamare il Vangelo ma con lode e gioia. Mi sono accorto che la danza era sia un modo per pregare che per evangelizzare. Il Signore mi ha chiamato ad annunciare il Vangelo con la danza, infatti ho danzato davanti a cardinali, vescovi ma la cosa più straordinaria è stata quella di danzare davanti a Giovanni Paolo II, il quale mi ha abbracciato incoraggiandomi ad andare avanti con la danza.