Elisabetta e i Papi: una storia ancora attuale

Lo storico incontro tra la regina Elisabetta II e papa Giovanni Paolo II (Vaticano, 1980)
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Nell’incontrollabile torrente di messaggi e di pensieri susseguitisi in questi giorni a seguito della morte della regina Elisabetta II, è stato trascurato un aspetto peculiare: è venuto a mancare il leader di una chiesa cristiana. Probabilmente pochi ricordano che il re (o la regina) d’Inghilterra è anche il capo della chiesa anglicana. Il fatto che questo ruolo sia ormai poco più di un pro forma nulla toglie alla sua valenza storica.

Non va dimenticato che il Regno Unito è il Paese che più di tutti ha costruito la propria identità in contrapposizione con la Chiesa di Roma. Mai come nella terra d’Albione, il cattolicesimo è stato ostacolato, ostracizzato, beffeggiato. Nei primi due secoli dell’era moderna, nessun Paese ha avuto tanti martiri – uno su tutti: San Tommaso Moro (1478-1535) – quanto l’Inghilterra. Questo rapporto, tuttora piuttosto difficile, ha tuttavia conosciuto un significativo disgelo proprio durante il settantennale regno di Elisabetta II Windsor.

L’incoronazione della sovrana da poco scomparsa avviene nel 1952, dieci anni prima dell’apertura del Concilio Vaticano II. Così come i pontefici a partire da San Giovanni XXIII hanno mostrato un’apertura e un dialogo senza precedenti verso le chiese riformate, allo stesso modo, Elisabetta II è stata la prima sovrana ad avere un rapporto significativamente cordiale con i Papi. Fu proprio Giovanni XXIII a ricevere per la prima volta la Regina nel 1961. “La sua presenza in Vaticano – dichiarò in quell’occasione Papa Roncalli – corona nel modo più felice la serie di dimostrazioni di amicizia che hanno segnato le relazioni tra il Regno Unito e la Santa Sede”.

19 anni dopo, San Giovanni Paolo II ricevette anch’egli Elisabetta II, sottolineando i progressi nei rapporti anglo-vaticani, che nel 1982 videro la storica riapertura delle relazioni diplomatiche, a quattro secoli e mezzo dallo scisma di Enrico VIII. Nello stesso anno, Wojtyla si recò in visita pastorale a Londra, in un frangente molto particolare della storia britannica: il conflitto nelle Falkland-Malvinas. “Questa tragica situazione mi ha preoccupato moltissimo e ho chiesto ripetutamente ai cattolici di tutto il mondo e a tutte le persone di buona volontà di unirsi a me nella preghiera per una soluzione giusta e pacifica”, sottolineò quella volta il pontefice polacco. Il terzo e ultimo incontro tra Wojtyla ed Elisabetta avvenne in Vaticano nel 2000.

Papa Benedetto XVI ha incontrato la Regina a Londra nel 2010, in un passaggio molto importante nella storia religiosa britannica. L’occasione fu offerta dalla beatificazione di John Henry Newman (1801-1890), il pastore anglicano che, convertitosi al cattolicesimo, fu creato cardinale. Sul piano simbolico, la beatificazione di Newman ha rappresentato un grande punto di forza per la Chiesa di Roma, accompagnato, peraltro, in quello stesso anno, da un altro storico evento: il ritorno alla Chiesa Cattolica di ben cinque vescovi anglicani e delle rispettive comunità.

Non meno significativo è stato, nel 2014, l’unico incontro tra papa Francesco e la regina Elisabetta, a 32 anni dalla guerra delle Falkland-Malvinas. Quasi un gesto di pace, significativamente alla presenza di un pontefice argentino. Nel suo messaggio di cordoglio alla famiglia reale, Bergoglio ha reso omaggio ad Elisabetta II, sottolineandone la sua “vita di instancabile servizio al bene della Nazione e del Commonwealth, al suo esempio di devozione al dovere, alla sua ferma testimonianza di fede in Gesù Cristo e alla sua ferma speranza nelle sue promesse”.

Il riavvicinamento tra la corona britannica (quindi la chiesa anglicana) e la Santa Sede è avvenuto progressivamente, nel corso di decenni di grande cambiamento e anche di crisi per entrambe le realtà in oggetto. La chiesa d’Inghilterra, in particolare, appare ormai svuotata da una secolarizzazione inarrestabile che gli ultimi arcivescovi di Canterbury (figura assimilabile, per certi versi, ai presidenti delle conferenze episcopali cattoliche ma dotata di maggiori poteri e prestigio) hanno soltanto potuto gestire e incanalare ma non certo arrestare: si pensi alla discussa ordinazione delle donne a ministri del culto e alla sbandierata omosessualità di molti pastori.

La chiesa d’Inghilterra pare aver smarrito ogni identità e brancolare in un vicolo cieco. La perdita delle radici cristiane in terra d’Oltremanica si tocca con mano non soltanto nella riduzione ai minimi termini della pratica religiosa ma anche e soprattutto nella crisi antropologica che ha visto l’affermazione dell’ideologia gender e dell’eutanasia nel Regno Unito.

Quello che la regina Elisabetta lascia in eredità al figlio Carlo III è un Paese sospeso tra il nichilismo di oggi e l’imperialismo di ieri. Dopo l’uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito deve reinventarsi un ruolo e un’identità. La nuova premier Liz Truss vorrebbe restituire al suo governo un fin troppo carico protagonismo nella scena internazionale, al punto da minacciare l’uso di armi nucleari contro la Russia.

Anche per ragioni d’età, Elisabetta II non ha avuto la forza di frenare il declino morale del proprio Paese. Ha però rappresentato, sul piano simbolico, un elemento di forza, un aggancio con la gloria e la solidità del passato e della tradizione, in un presente molto incerto. È proprio in questo contesto di debolezza e di confusione, che il popolo britannico, nauseato dalla sua stessa autodistruzione e privato di una vera leadership, potrebbe anche aprirsi ad una rinascita spirituale, in cui la Chiesa Cattolica andrebbe a tendergli la mano. Ovviamente, tutto ciò è una pura possibilità e un puro auspicio. Di mezzo, c’è l’insondabile libertà di un popolo che, in tempi recenti, salvo eccezioni, ha scelto una strada che cristiana di certo non è.