La vita dei santi si intreccia con quella di noi viventi in tanti modi diversi: un aneddoto, la visita a un santuario, una preghiera o un’intercessione particolare in un momento di difficoltà. Per me personalmente, l’incontro con il beato Pier Giorgio Frassati (1901-1925) è avvenuto attraverso un ritratto in un momento particolare della mia vita. Ero un laureando in scienze politiche che, tra molte difficoltà e crisi esistenziali giovanili, si stava faticosamente riavvicinando alla fede. Nella cappella della mia università campeggiava il sorriso luminoso del beato torinese. Il suo profilo mi affascinava tanto e volli subito documentarmi su di lui. La sua storia era eccezionale, pareva un romanzo. Con il tempo, tuttavia, ho compreso che, quando Dio interviene, sa rendere la realtà molto più affascinante e sorprendente della fantasia.
Pier Giorgio Frassati è uno di quei santi, la cui vita suscita più interesse in noi contemporanei. Potremmo dire, in maniera forse un po’ scontata, che è Frassati è attuale. Meno banale, è dire che la sua è una figura attrattiva. In Frassati, l’eccezionale si innesta nell’umiltà della santificazione quotidiana, fatta di tanti piccoli sacrifici nascosti. Eppure, in vita, questo giovane torinese non passava affatto inosservato. Un carisma, un’esuberanza, un fuoco dello Spirito che conquistavano tutti. Pier Giorgio Frassati inaugura una splendida “stagione” di santità laica. Ha fatto dell’università un luogo di evangelizzazione e di incontro con Cristo. L’identità cattolica di Frassati è genuina, autentica e vera perché frutto di una scelta. Nato in una famiglia di cultura laica, ha optato liberamente per la Chiesa. Cresciuto nell’agio del notabilato piemontese (il padre Alfredo era giornalista ed editore del quotidiano La Stampa), ha intuito in Gesù, la ricchezza più grande, senza mai entrare in polemica con i propri genitori, quasi come un San Francesco del XX secolo.
La canonizzazione di Pier Giorgio Frassati annunciata per il 2025 – anno giubilare e centenario della sua nascita al Cielo – richiama l’attenzione anche su un’altra pietra miliare del cristianesimo: la Chiesa è giovane o, quantomeno, è spinta avanti, si rigenera e progredisce, grazie all’entusiasmo dei giovani. Poco prima di morire, il beato scriveva: “Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere, ma vivacchiare”. Quanta differenza tra la radicalità intransigente frassatiana e la molle disillusione di tanti giovani d’oggi (anche cattolici)… E Frassati scelse come dimensione privilegiata per la sua radicalità evangelica, proprio quell’impegno politico che oggi appare così incompatibile con l’identità e la prassi cattoliche. Il beato torinese si formò in quella stessa Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), di cui, pochi anni dopo, monsignor Giovanni Battista Montini sarebbe diventato assistente ecclesiastico.
In comune con il futuro papa Paolo VI, c’è quell’approccio, oggi assolutamente inaudito, della politica come “massima forma di carità”. In che modo Frassati avrebbe esercitato questa vocazione, è difficile dirlo, vista l’eccezionale brevità della sua vita. Quel che è certo è che il suo temperamento genuinamente allegro ed energico non fu mai esente da inquietudini, generate in primo luogo dall’incomprensione della sua famiglia, in particolare dell’austero padre, che scambiava quell’approccio gioviale con la superficialità e con il ‘vivere alla giornata’. Per ogni santo c’è una croce e questo non essere ‘profeta in patria’ fu per Pier Giorgio Frassati la più grande amarezza. Fu proprio l’opposizione familiare a far naufragare il fidanzamento del giovane rampollo torinese con Laura Hidalgo, una ragazza di pochi anni più grande di lui: il rango sociale inferiore della giovane aveva reso contrastato quel legame. La rottura con Laura, fu un dolore lancinante per Pier Giorgio, il quale, un giorno, parlando della propria vocazione, arrivò a dire a un amico: “Non lo so: sacerdote no, perché è una missione troppo grande e non ne sono degno; il matrimonio no. L’unica soluzione sarebbe quella che il Signore mi prendesse con sé”. E aggiunse: “Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita”. Ma non era depressione, era solo la struggente impazienza dell’incontro definitivo con il Signore. Fu accontentato: Pier Giorgio Frassati muore a Torino il 4 luglio 1925, a soli 24 anni, vittima di una poliomielite fulminante.
Il 20 maggio 1990, nella sua omelia durante la cerimonia di beatificazione, San Giovanni Paolo II descriveva così Frassati: “Certo, a uno sguardo superficiale, lo stile di Pier Giorgio Frassati, un giovane moderno pieno di vita, non presenta granché di straordinario. Ma proprio questa è l’originalità della sua virtù, che invita a riflettere e che spinge all’imitazione. In lui la fede e gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente, tanto che l’adesione al Vangelo si traduce in attenzione amorosa ai poveri e ai bisognosi, in un crescendo continuo sino agli ultimi giorni della malattia che lo porterà alla morte. Il gusto del bello e dell’arte, la passione per lo sport e per la montagna, l’attenzione ai problemi della società non gli impediscono il rapporto costante con l’Assoluto. Tutta immersa nel mistero di Dio e tutta dedita al costante servizio del prossimo: così si può riassumere la sua giornata terrena!”. Forse, una vita così vale davvero la pena essere vissuta…