«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»

XXIX Domenica del Tempo Ordinario anno A

18 ottobre, san Luca Evangelista

Mt 22, 15-21

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiàni, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

COMMENTO

I farisei, d’accordo con gli erodiani, nella scena odierna cercano di superare se stessi, tendendo una insidiosa trappola al Signore, nella quale pensavano potesse cadere l’Autore della Vita.

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I farisei e gli erodiani erano nemici giurati. I primi affermavano la superiorità spirituale sul potere temporale, e i secondi pensavano l’esatto opposto, giacché come il nome della fazione indica, erano seguaci di Erode. Tuttavia, trattandosi di eliminare un nemico comune, il Cristo di Dio, gli storici contendenti confabulano in perfetto concerto.

Tutti gli ebrei, farisei ed erodiani compresi, attendevano la venuta del Salvatore annunciato profusamente nelle profezie. Tuttavia, per i leader di questi due gruppi il futuro Unto del Signore doveva avere certe caratteristiche, ossia, o doveva essere uno di loro, o comunque doveva favorirli. Data la scarsità di fede e di umiltà che caratterizzava l’epoca di Gesù, pochi accettavano di seguire il Messia incondizionatamente, anzi! Si trattava invece di addomesticarlo per avvantaggiare il proprio partito.

L’apparizione brillante e meravigliosa di Gesù colse tutti alla sprovvista. La dottrina chiara e bella, i miracoli abbondantissimi e straordinari, le folle che lo seguivano, tutto faceva del Maestro uno scomodo avversario, che, d’altronde, scopriva e rinfacciava i loro misfatti. La situazione era arrivata a un punto insostenibile, era necessario eliminarlo, ma come?

Ed ecco lo stratagemma del tributo a Cesare: era lecito pagarlo o meno? Se Gesù avesse risposto di sì, allora si sarebbe mostrato nemico della Religione e del Tempio, e questo avrebbe potuto costargli la vita; se avesse detto di no, allora si sarebbe tradito come rivoluzionario, un nemico di Cesare e di Erode, il che, di nuovo, avrebbe potuto comportargli una condanna a morte.

Gesù, però, sorprende tutti: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Né farisei, né erodiani, né gli stessi discepoli avrebbero potuto immaginare che dietro a quella cristallina e semplicissima risposta c’era – non solo la sconfitta dei suoi nemici – ma una teologia di altissima caratura, che avrebbe bilanciato a livello sociale e personale il precario equilibrio tra la realtà spirituale e quella terrena.

Dal punto di vista sociale, nei secoli della cristianità si è riusciti con tanta fatica a stabilire l’armonia tra il papato e l’impero. Nella vita personale di ognuno di noi, invece, si tratta di mettere Dio al centro senza dimenticare, però, la concretezza. E così bisogna lavorare per il proprio sostentamento, anche se non è lecito né rubare né attaccare il cuore ai beni con avidità. E così via. Tutto è lecito nei limiti dei comandamenti, avendo come principio assoluto il primo, cioè, la carità verso Dio.

Cerchiamo di stabilire nei nostri cuori, con assoluta priorità, la regalità divina. In questo modo tutta la nostra vita, anche negli aspetti più concreti, si trasfigurerà alla luce della fede.