Tokyo 2020: campioni sul campo, campioni nella vita

Hidilyn Diaz Olimpiadi Tokyo 2020
Foto: ANC - YouTube Screenshot

Si stanno concludendo in queste ore e, per gli atleti italiani, sono state una cavalcata trionfale. Con 10 ori, 10 argenti e 18 bronzi sono le migliori Olimpiadi di sempre per gli azzurri, un record ulteriormente migliorabile in questi ultimi scampoli di competizione. Ci sono però delle medaglie che nessuno metterà al collo di alcun atleta, che nessuno esibirà in alcuna bacheca, che nessuno includerà in alcun albo d’oro ufficiale. Sono le medaglie dei cuori gettati oltre gli ostacoli, perché dietro ogni atleta c’è innanzitutto un uomo o una donna, con le proprie fragilità e paure.

Un campione non è un semidio, né un supereroe ma una persona come tante altre, che deve fare i conti con i limiti: i propri limiti personali e quelli imposti dalle condizioni esterne. Si diventa campioni non in base al numero di vittorie o di trofei ma quando si impara ad accettare una sconfitta e a farne tesoro per il futuro. Si diventa campioni, però, soprattutto quando si comprende che la gloria sportiva non è eterna, che il fisico prima o poi è soggetto al decadimento e che il dopo-carriera va pensato e previsto con grandissima umiltà e notevole realismo.

Per alcuni dei protagonisti di Tokyo 2020, arrivare alle Olimpiadi è stato un vero e proprio miracolo. Per loro la medaglia più bella è stata la pura e semplice partecipazione, nello spirito del fondatore Pierre de Coubertin. È anche per questo che, oggi vogliamo menzionare e celebrare qualcuno di questi atleti, italiani e stranieri, alcuni medagliati, altri no ma tutti autentici “campioni di umanità”.

Vogliamo partire dalla più giovane di loro: la siriana Hend Zaza, a soli dodici anni, si è qualificata alle Olimpiadi, nella specialità del tennis tavolo. Una bambina cresciuta praticamente tutta la vita sotto le bombe. Poco prima dei Giochi, Hend ha rischiato di slogarsi una caviglia e non partecipare ma questo è stato il minore dei problemi. Cresciuta ad Hama, una delle città siriane più martoriate dalla guerra, Hend ha fatto letteralmente la fame assieme alla sua famiglia: taglio dei rifornimenti elettrici, idrici, alimentari e sanitari, isolamento e scuole impraticabili. In questo scenario apocalittico, la piccola riusciva ad allenarsi almeno tre ore al giorno. Si fermava solo al tramonto perché luce in casa non ce n’era.

Commovente anche la storia personale di Luigi Busà, 33enne karateka siciliano di Avola, medaglia d’oro nella categoria kumite-75 kg, dopo essere stato due volte campione del mondo e cinque volte campione europeo. Davvero una grande soddisfazione trionfare nella patria delle arti marziali per un ragazzo che, da bambino e da adolescente, ha dovuto fare i conti con l’obesità. “Pesavo 94 chili, solo mio padre credeva in me”, ha raccontato. Appuntato carabiniere, due sorelle anch’esse karateke, Busà ha avuto la costanza e la tenacia di sottoporsi alla dieta perdendo i 20 kg necessari per gareggiare nella sua attuale categoria. Al termine della gara in cui ha sconfitto l’eterno rivale azero, Rafael Aghayev, Busa si è messo a saltellare come un bambino, gridando: “mamma, ce l’ho fatta!”.

Sfidare i propri limiti, competere per essere il migliore, costringe a fare i conti con Chi limitato non è: o ti credi Dio e ti fidi ciecamente ed esclusivamente delle tue capacità oppure lo invochi e Lui ti aiuta. Gli “atleti di Dio” sono così: hanno la consapevolezza che i talenti non sono loro ma di Qualcuno che glieli ha donati. Se vincono, poi, riconoscono di non avere alcun merito. Come la 30enne sollevatrice di pesi Hidilyn Diaz, che ha regalato alle Filippine, il primo oro olimpico dopo 97 anni, con tanto di record olimpico nella sua specialità. “Non posso credere che il mio nome sia nel record olimpionico. Quindi sono davvero grata. Dio è incredibile! Dio è incredibile!”, ha esclamato la Diaz, che porta sempre con sé la medaglia miracolosa di Santa Caterina Labouré.

Non è andata molto bene l’avventura dell’Italia nel basket femminile. Nel team azzurro, però, spicca la testimonianza della 33enne oriunda americana Rae Lin D’Alie, nata nel Wisconsin da famiglia di origini siciliane. “Avevo scritto su un braccio la parola ‘strike’ dopo aver letto un passo della Bibbia che mi ha ispirato. E strike, appunto, è stato”, ha confidato D’Alie al Corriere della Sera. Parlando di Gesù, la cestista ha detto: “Sono sempre in conversazione con lui, prego anche prima e durante ogni partita”.

La ginnasta 18enne Grace McCallum, due volte campionessa mondiale nel volteggio, ha portato il suo rosario alle Olimpiadi di Tokyo, dove ha conquistato l’argento. Originaria del Minnesota, McCallum ha attribuito la conquista del bronzo nel 2019 all’intercessione di Santa Filomena, di cui è devota dal momento della Cresima e la cui memoria liturgica si celebra l’11 agosto, giorno in cui si è tenuta la gara. “Quando ho una giornata pesante, in palestra o alle gare, so che Dio mi ha dato questo talento – ha raccontato la ginnasta americana in un’intervista –. Devo usarlo e non sprecarlo”.

Il 27enne brasiliano Ítalo Ferreira ha avuto la grazia di partecipare alla prima competizione olimpica di surf della storia. Ed è stato subito oro. “Sono venuto in Giappone con una frase: ‘Dì amen che l’oro arriva’. Ed è arrivato. Ci ho creduto fino alla fine, mi sono allenato molto negli ultimi mesi e Dio ha realizzato il mio sogno”. Ferreira ha poi confidato: “Ogni giorno ho pregato alle tre del mattino, ho chiesto a Dio di realizzare il mio sogno. Ed ecco qui, il mio nome è scritto nella storia del surf”.

Un’altra atleta azzurra, la 30enne bresciana Vanessa Ferrari, ha conquistato l’argento nel corpo libero. La Ferrari è talmente devota alla Vergine Maria, che, sul pullman di ritorno dalla gara, ha intonato il canto popolare Madonnina dai riccioli d’oro.

Per concludere, rimanendo in ambito mariano, quest’anno abbiamo avuto i primi medagliati nativi di Medjugorje. Si tratta dei tennisti Marin Čilić e Ivan Dodig, rispettivamente, 33 e 36 anni, argento a Tokyo nel doppio maschile. Čilić e Dodig gareggiano da sempre per la federazione croata, che garantisce più possibilità di successo agli atleti bosniaci. Amici dall’infanzia, Marin è stato testimone di nozze per Ivan, mentre Ivan è stato padrino di battesimo del figlio di Marin. Uno straordinario successo, a coronamento di una gavetta molto lunga e di una carriera piena di momenti interlocutori per entrambi. “Ringrazio anche la Madonna di Medjugorje per il talento che abbiamo ricevuto e per il fatto che ci possiamo divertire in questo sport che ci ha dato tanto nella vita”, ha detto Čilić. Nel 40° anniversario delle apparizioni, anche questo potrebbe essere un segno…