Chiesa, affettività e sessualità: quanta confusione sotto il Cielo!

Coppia cielo tramonto
Foto: CC0 Pixabay

Dobbiamo ammetterlo con un pizzico di amarezza: se la Chiesa non esprimesse una morale sessuale e se non fosse mai stata coinvolta in scandali sessuali, l’attenzione mediatica nei suoi confronti sarebbe forse un decimo di quella che effettivamente riceve. Come spesso avviene in un circuito dell’informazione impostato per banalizzare i concetti, invece di informare e aprire le menti, è stato lasciato intendere il messaggio – assolutamente falso e fuorviante – che, dopo anni di aperture, ascolto e “modernizzazione”, la Chiesa starebbe tornando sui suoi passi in tema di castità prematrimoniale, riproponendo dei valori “all’antica”. Così è avvenuto al momento della pubblicazione degli Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale, a cura del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, con prefazione di papa Francesco. Si tratta di un sussidio finalizzato ad attualizzare e offrire delle linee guida sul magistero della Chiesa in tema di amore coniugale e di formazione all’affettività.

“La castità vissuta nella continenza […] facilita la conoscenza reciproca fra i fidanzati, perché evitando che la relazione si fissi sulla strumentalizzazione fisica dell’altro, consente un più approfondito dialogo, una più libera manifestazione del cuore e l’emergere di tutti gli aspetti della propria personalità – umani e spirituali, intellettuali ed emotivi – in modo da consentire una vera crescita nella relazione, nella comunione personale, nella scoperta della ricchezza e dei limiti dell’altro: e in ciò consiste il vero scopo del tempo del fidanzamento”, si legge in uno dei passaggi salienti del documento (n°57). Nello spiegare la virtù della castità, il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita menziona a più riprese l’Amoris Laetitia (cfr n° 206) e la lettera apostolica Patris corde (cfr n° 7): ciononostante, quando uscirono questi due documenti, il fatto che Bergoglio si soffermasse sulla castità, non fece per nulla notizia.

Le interpretazioni errate e superficiali dei documenti pontifici non sono una novità. Ogniqualvolta i papi si esprimono in tema di sessualità, di famiglia o di sacralità della vita, le polemiche sono sempre dietro l’angolo. Accadde nel 1968, con l’enciclica Humanae vitae di San Paolo VI, nel 1995, con la Evangelium vitae di San Giovanni Paolo II, e si è ripetuto, per motivi diversi, nel 2016, con l’esortazione apostolica Amoris laetitia di papa Francesco. La dottrina post-conciliare su sessualità e matrimonio ha espresso pagine magistrali (si pensi ai tre documenti pontifici pocanzi citati), che inquadrano le problematiche con il giusto equilibrio e nello spirito dei tempi, senza mai rincorrere per questo le tendenze del mondo. Tuttavia, nel magistero “diffuso”, ovvero nell’insegnamento fornito da molti catechisti, parroci, vescovi e teologi accademici, le sbavature abbondano. Da un lato, abbiamo riscontrato la tendenza minoritaria a una difesa fideistica della castità, senza illustrarne la ragionevolezza e slegandone l’insegnamento dall’atteggiamento generale nei confronti della vita: non ha senso, ad esempio, predicare comportamenti casti e, al contempo, non educare ad un sano distacco dai beni materiali, dal denaro e, soprattutto, dall’orgoglio e dalla superbia.

Più spesso, però, i nostri pastori sono caduti nell’eccesso opposto, ovvero nell’affermazione di una morale sessuale eccessivamente “elastica”. Questa deriva è stata tra le principali cause delle crisi vocazionali, dell’exploit dei divorzi (anche nell’ambito dei matrimoni sacramentali) e, soprattutto, dei tanti scandali che hanno coinvolto il clero, non ultimi gli abusi sui minori. Ampi settori sia della Chiesa, sia del mondo laico sono accomunati da una concezione immatura e poco serena della sessualità, frutto della mentalità dominante negli ultimi sessant’anni, contaminata da un’ipersessualizzazione e da una morbosità dilagante che, invece di esaltare la sessualità umana, la mortificano e la degradano. Vivere nella castità non vuol dire soltanto astenersi dagli atti sessuali (cosa in molti casi necessaria, in particolare fuori dal matrimonio) ma significa soprattutto avere un rapporto armonioso con la realtà circostante e, soprattutto, con le persone, basato sull’amore e non sul possesso. Un approccio alla vita ad imitazione di Cristo, che ama l’umanità ma, in primo luogo, è amorosamente sottomesso al Padre. Essere casto non vuol dire essere privo di passioni ma significa non esserne schiavo.

Alla luce di tale ragionamento, è impossibile non nutrire perplessità per il recente post di don Marco Pozza, in cui il noto sacerdote veneto indirizzava i suoi auguri all’amico giornalista Alberto Matano, unitosi civilmente con un uomo. Sorvolando sull’errata dicitura di “matrimonio” (poi corretta), usata da don Pozza nei confronti dell’amico, non si può fare a meno di notare come quel post sia una spia della notevole confusione che regna nella Chiesa, anche ad alti livelli. Lo stesso don Pozza non è un prete qualsiasi: svolgere l’attività di cappellano carcerario non è da tutti e anche intervistare il Papa e un gran numero di personaggi famosi sui fondamenti della nostra fede, presuppone talenti non comuni e grande preparazione. Ciò non toglie che don Marco è probabilmente caduto nell’equivoco di molti cattolici di oggi: quello di confondere l’accoglienza nei confronti dell’omossessuale con l’approvazione morale del suo comportamento. Un problema che si manifesta anche negli episcopati e nelle singole diocesi e comunità: per fare un esempio tra i tanti, lo scorso 11 giugno, una coppia di uomini ha ricevuto la benedizione del parroco in una chiesa vicino Bologna.

Alla base di tutto, c’è un problema di natura spirituale. Tutti siamo peccatori e dovremmo pregare di più. I pastori di anime e i formatori però, devono, più degli altri, dare l’esempio, pregando e predicando sempre il Vangelo, “se necessario anche con le parole”, come diceva San Francesco. Ritrovare tutti – ma davvero tutti: laici, religiosi, sacerdoti, vescovi e Papa, nessuno escluso – il giusto rapporto con Dio (chi è già sulla buona strada, s’impegnerà a non sciuparlo!) e con le cose del mondo, esaltando il primo e ridimensionando le seconde, è il primo passo necessario. Solo così – tra le altre cose – si potrà ritrovare un sano ed equilibrato rapporto con la propria affettività e con la propria sessualità, dono di Dio e strumento non per possedere, né per chiudersi in un piacere degradante e solipsistico, ma per amare e generare vita.