L’attuale insolita campagna elettorale “balneare” ci riporta, tra le altre cose, all’annoso dilemma del ruolo dei cattolici in politica. Negli ultimi 20-30 anni, da un lato, l’impegno sociale, il volontariato e tutte le attività legate al terzo settore sono rimasti terreni privilegiati per molti laici, dall’altro, quando il discorso si allarga all’impegno politico in senso stretto, lo scetticismo e la ritrosia tendono a dominare. Con il risultato che, anche tra i cattolici, cresce l’astensionismo e il disinteresse per la cosa pubblica. Basti pensare che, se durante l’era democristiana la partecipazione al voto viaggiava costantemente oltre il 90%, in vista delle elezioni politiche del prossimo 25 settembre, si stima che un italiano su tre non andrà a votare.
Cosa è successo in tutti questi anni? Le risposte potrebbero essere molteplici ma andrebbero ricondotte ad un’unica spiegazione di fondo: i cattolici hanno perso la capacità di essere “sale del mondo e luce della terra”. La loro presenza negli spazi pubblici, laddove resiste, è piuttosto sbiadita, in quanto il loro modo di pensare, di comunicare e di agire risulta sostanzialmente omologato allo stile di vita e alla mentalità mondani. I politici cattolici, salvo rare eccezioni, non sono distinguibili dagli altri. A prescindere dalle idee che diffondono e da come votano nelle questioni cruciali, rimane una loro tendenza al compromesso e a subordinare i propri principi alla convenienza elettorale o alla disciplina partitica. Quei pochi che mantengono la schiena dritta, vengono dopo qualche tempo emarginati e finiscono condannati a una presenza effimera tra i banchi del Parlamento o degli enti locali. Al tempo stesso, negli ultimi trent’anni, non è mai sbocciata una vera figura di leader politico cattolico in grado di guadagnarsi un minimo di consenso trasversale ai partiti. Più spesso capita di vedere politici senza orientamenti definiti, che sposano i principi cristiani al semplice scopo di raggranellare qualche voto “cattolico”.
Duole molto dirlo ma nelle parrocchie o nei gruppi di preghiera, quei pochi che vogliono impegnarsi in politica, tendono a volare piuttosto basso, senza grandi ambizioni, limitandosi a obiettivi anche onesti ma decisamente di non ampio respiro. Nelle nostre comunità, i fedeli sono magari uniti dal Vangelo ma divisi dalla politica. Ognuno vota in modo diverso e, con la scusa del non confondere ciò che è “di Cesare” con ciò che è “di Dio”, raramente ci si confronta sulle proprie scelte elettorali. La poco brillante presenza dei cattolici in politica riflette una serie di debolezze già presenti a livello personale. C’è una tendenza molto forte alla privatizzazione della fede, accolta più come strumento di conoscenza di stessi e delle proprie potenzialità che non come forza in grado di cementare legami sociali e cambiare le dinamiche collettive. Ci si accontenta di un cristianesimo utile a coltivare la pace con se stessi e con la propria famiglia, al limite con la propria piccola comunità parrocchiale. Tutti obiettivi legittimi ma, spesso e volentieri, ci si dimentica che il Vangelo è integrale e si innesta su quell’enorme corpo universale che è la Chiesa, il cui fondamento è la comunione dei santi. Dall’altro lato, c’è un clima di forte sfiducia nella politica e, in generale, nel futuro, da parte di quella prima generazione di papaboys, diventata adulta durante il pontificato di San Giovanni Paolo II, che aveva fortemente creduto nella possibilità di un rinnovamento della società in senso cristiano. Parliamo dei cattolici che, tra le altre cose, hanno animato le piazze del Family Day e che, in seguito, si sono dovuti scontrare con una realtà poco esaltante, vivendo una cocente delusione.
Non mancano, a onor del vero, politici che genuinamente portano avanti principi cristiani. Da troppi anni, però, prevale una tendenza alla settorializzazione: chi sceglie la lotta all’eutanasia e al gender, normalmente non si batte per i migranti, perché l’unità è subordinata alle logiche partitiche. Tramontata ormai da anni l’“era Ruini”, in cui i “vescovi pilota” stimolavano i laici sparsi tra tutti i partiti, a prendere in considerazione l’agenda della Chiesa, ci troviamo nell’ennesima difficile transizione, in cui i cattolici impegnati in politica devono reinventarsi un ruolo e una modalità d’azione.
Durante la legislatura appena terminata, non tutto è stato da disprezzare. L’approvazione del Family Act e dei contributi alle scuole paritarie sono dei piccoli risultati che, per quanto non sufficienti di per sé, vanno accolti come dei punti di partenza per un rinnovamento. Al tempo stesso è stata incoraggiante la bocciatura del ddl Zan contro l’omofobia, in una legislatura fortemente ideologizzata, in cui lo scioglimento anticipato delle Camere ha fatto decadere i disegni di legge sul fine vita e sulla cannabis legale. Non è concepibile, tuttavia, un impegno cattolico dalla funzione esclusivamente “catecontica”, ovvero posta sulla difensiva, a contrasto delle leggi inique. Serve una visione più onnicomprensiva e soprattutto propositiva, che ponga in primo piano tutti gli ambiti d’azione della dottrina sociale: incentivi alla natalità, misure contro la precarizzazione del lavoro e, in politica estera, lo stop alla corsa agli armamenti.
Non ci si può più accontentare di un impegno politico volto a conservare l’esistente. La “nuova generazione di cattolici in politica”, per usare un’espressione di Benedetto XVI, dovrebbe tornare a sognare mete coraggiose e ambiziose per il mondo, mettendo a disposizione il proprio cambiamento interiore a servizio della società. Né più, né meno come i primi cristiani descritti nella Lettera a Diogneto: «Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano».