“Fratelli tutti”: un’enciclica poco teologica che però vola alto

Cinque anni senza encicliche sono tanti. Il lungo “digiuno” intercorso dalla pubblicazione della Laudato si’ per certi versi giustifica l’imponenza del nuovo documento (138 pagine e 237.877 battute) firmato da papa Francesco ad Assisi il 3 ottobre scorso. Fratelli tutti è un’enciclica sociale che vola assai alto, toccando una pluralità di temi e discipline: dalla politica alle migrazioni, dalla comunicazione al dialogo interreligioso, dalla globalizzazione all’emergenza Covid. L’ampiezza dello sguardo non è l’unico elemento di ambizione di un’enciclica che, più di ogni altro documento pontificio mai pubblicato prima, si caratterizza per il suo approccio interreligioso. Se per la Laudato si’, Francesco aveva trovato ispirazione dal pensiero del patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, per la Fratelli tutti, lo stimolo è arrivato dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, assieme al quale il 4 febbraio 2019, firmò il documento sulla fratellanza umana ad Abu Dhabi. Più che mai, dunque, ci troviamo di fronte ad un’enciclica rivolta non solo ai cattolici ma a tutti gli “uomini di buona volontà”, nel contesto di un mondo irreversibilmente globalizzato in cui “tutto è intimamente connesso”.

Optando per un linguaggio universalmente comprensibile, il Pontefice passa in rassegna un gran numero di tematiche, in cui il trait d’union è la “dottrina sull’amore fraterno”, principale alimento per un’armoniosa e costruttiva convivenza tra civiltà anche molto diverse tra loro. Al raggiungimento di tale obiettivo si frappongono una serie di ostacoli e, in questo percorso, Bergoglio ribadisce la condanna del modello economico neoliberista che pone merce e capitale al di sopra della dignità umana e che la pandemia ha contribuito a smascherare una volta per tutte. “Il mercato da solo non risolve tutto”, spiega il Santo Padre, né è in grado di creare da solo ricchezza e occupazione. “La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage” (FT 168), ammonisce. Una “politica sana” che rimetta al centro la “dignità umana”, aggiunge il Papa, non può essere “sottomessa al dettato della finanza”.

I mali della politica odierna non si esauriscono certo nell’appiattimento sul “paradigma efficientista della tecnocrazia” (177) ma si rivelano anche in una serie di comportamenti che precludono la realizzazione di una “carità politica”. Potrà sembrare sorprendente ma “anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza”, ovvero offrendo un’opzione preferenziale per i più fragili. A tal proposito, il Santo Padre torna a stigmatizzare la cultura dello scarto, citando, con riferimento all’attualità, gli “anziani morti per mancanza di respiratori, in parte come effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno”; un fenomeno che fa il paio con la “mancanza di figli, che provoca un invecchiamento della popolazione”. Il rifiuto di vecchi e bambini è indicato dal Papa come un sintomo della prevalenza dei “nostri interessi individuali” sul bene comune. Neanche tale presa di coscienza, tuttavia, è sufficiente. È necessario prendere le distanze da una diffusa “aggressività sociale” che attecchisce in particolare “nei dispositivi mobili e nei computer” (44), avvelenando l’intero sistema delle comunicazioni di massa, i media, i social network e, di riflesso, anche il dibattito politico.

Un altro aspetto significativo dell’enciclica è nella riflessione su una certa cultura globalizzata che “pretende di rendere tutti uguali”, all’insegna di un “falso sogno universalistico” e di un futuro “monocromatico”. Queste forme di omologazione, frutto di un approccio economicista e individualista riducono il “prossimo” a un mero “socio”, depositario di puri interessi. In risposta a questa concezione deteriore, il Papa indica il modello insuperabile del Buon Samaritano evangelico (cfr FT 101), la cui carità sovverte le convenzioni sterili e mortificanti. Nell’andare incontro all’altro, tanto più se diverso da noi, però, “il relativismo non è la soluzione – ammonisce il Papa –. Sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento” (FT 206), imponendo “una presunta verità”, secondo una logica per cui “non esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e svantaggi” (FT 210). Al contrario, “l’apertura alla verità protegge la carità da una falsa fede che resta priva di respiro umano e universale” (FT 184).

Nel capitolo ottavo, Francesco affronta il tema della cooperazione tra le religioni “a servizio della fraternità nel mondo”. L’apertura alla trascendenza, la ricerca di Dio “con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali”, lungi dall’essere divisiva, “ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli”. In questo contesto, ribadisce il Papa, “la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni”. L’enciclica non trascura nemmeno il delicato tema della reciprocità e della libertà religiosa: “Come cristiani – si legge nell’enciclica – chiediamo che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani là dove sono minoranza” (279).

Un’enciclica di così ampio respiro, come tutte le opere ambiziose, non poteva non mostrare qualche punto debole. Quando affronta un suo cavallo di battaglia come le migrazioni, ad esempio, Bergoglio, sulla scorta del suo predecessore Benedetto XVI, ribadisce il “diritto a non emigrare” e rimarca che “l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie”, affinché si possa “vivere” e “crescere con dignità” nei propri paesi d’origine. Finché non sarà possibile ottenere “seri progressi in questa direzione”, però, sarà importante agevolare l’accoglienza degli immigrati in paesi più ricchi di quello d’origine. Se è vero che, in Fratelli tutti, il Papa non esita a condannare la “tratta di persone e altre forme di schiavitù”, portate avanti dalle organizzazioni criminali che fanno sciacallaggio sul dramma dei migranti (cfr FT 24), nell’enciclica, pur essendovi più di un riferimento ai risvolti predatori del sistema neoliberista, non v’è alcun cenno alla strumentalizzazione delle migrazioni ai fini di un abbassamento generalizzato dei salari nei paesi più ricchi. Bergoglio non ha esitazione a condannare i “nazionalismi chiusi” e i “narcisismi localistici” di certe formazioni politiche, tuttavia non coglie che spesso, dietro certo malcontento etichettato da taluni, a torto o a ragione, come razzista o xenofobo, c’è una ‘guerra tra poveri’ in cui immigrati e autoctoni diventano in egual misura vittime più o meno inconsapevoli di nuove forme di sfruttamento lavorativo.

Altri limiti dell’ultima enciclica sono nella mancata menzione del ruolo della famiglia come punto di partenza per l’edificazione di una fraternità universale e nella forse eccessiva fiducia riposta nelle organizzazioni internazionali. “Quando si parla della possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità personale. Tuttavia, dovrebbe almeno prevedere il dare vita a organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali” (FT 172), scrive il Papa, trascurando, però, il fatto che attribuire indiscriminatamente più potere a istituzioni di rango internazionale e non governativo, potrebbe comportare il rischio di rafforzare soggetti privi di qualunque legittimazione democratica e, almeno allo stato attuale, ben poco animati da una visione cristiana dell’uomo, della vita e del mondo.

Tirando le somme, dunque, Fratelli tutti si presenta come un’enciclica molto pastorale e assai poco teologica e si pone più come un punto di partenza che come punto d’arrivo. Più che rappresentare un manifesto programmatico per il mondo che verrà, offre delle chiavi di lettura per un dibattito franco e leale tra le comunità mondiali al fine di una cooperazione basata su principi solidi e religiosamente fondati. Un’enciclica che sicuramente scontenterà i più conservatori ma forse anche quanti continuano ad aspettarsi dal Papa un’apertura acritica ad ogni forma di modernità.