La nostalgia di Dio e l’affidamento a Maria

Quest’anno, il mese mariano è iniziato con particolare solennità. Presso il santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio (BG), nel cuore della regione più colpita dalla pandemia di Covid-19, i vescovi italiani hanno recitato il rosario, celebrando l’atto di affidamento del Paese a Maria Santissima. Nel corso del rito, il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni – ammalatosi nelle scorse settimane di coronavirus e poi guarito – ha invocato la Vergine “perché il dolore ceda il posto alla speranza”, ricordando nella preghiera “i malati, i medici” e “tutti coloro che si stanno adoperando per alleviare le sofferenze”. Tenendosi l’atto di affidamento a Maria nella memoria di San Giuseppe Lavoratore, il presule ha pregato anche “per chi teme per il suo lavoro”, “perché ci sia lavoro per tutti” e “perché il nostro Paese sia unito oggi e nel futuro che Dio gli prepara”.

La celebrazione di Caravaggio è il segno di come dovremmo approcciarci a questa particolare fase della nostra vita ecclesiale. Dopo una serrata serie di botta-e-risposta tra Governo e Comitato tecnico-scientifico da un lato, e Conferenza Episcopale Italiana dall’altro, martedì scorso, durante l’omelia del mattino, è intervenuto in prima persona papa Francesco: “In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena –ha detto – preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”. Apparentemente, il Santo Padre sembrerebbe aver gelato le speranze di milioni di fedeli e, addirittura, sconfessato la linea della CEI. In realtà, appare chiara la volontà del Pontefice di placare le animosità e prevenire uno scontro tra stato e Chiesa che, in questo momento, sarebbe deleterio per tutti. Vista anche la polifonia di voci che si è registrata nell’episcopato italiano (tra le tante dichiarazioni, spicca per determinazione e nettezza, l’appello di monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno), Bergoglio ha ritenuto importante prevenire fughe in avanti e iniziative troppo autonome da parte delle diocesi.

In questa “fase due”, sarà fondamentale il massimo spirito di collaborazione da ambo le parti. L’ideale sarebbe che, sia la CEI che il governo, elaborassero dei loro protocolli e li mettessero a confronto. Finora tutto ciò è mancato e, in particolare sul fronte governativo, si è vista poca disponibilità al confronto e molta vaghezza. “La partecipazione dei fedeli alle funzioni religiose comporta, allo stato attuale alcune criticità ineliminabili che includono lo spostamento di un numero rilevante di persone e i contatti ravvicinati durante l’Eucarestia”, hanno dichiarato i membri del Comitato Tecnico Scientifico, rimandando ogni decisione riguardo la riapertura a non prima del 25 maggio.

Ma davvero la santa eucaristia merita di essere ridotta ad un dibattito sulla misurazione delle aree e sui perimetri delle parrocchie, sugli ingressi liberi o a numero chiuso, sul tipo di disinfettante che il sacerdote dovrà utilizzare per distribuire le particole? Molti fedeli in queste settimane manifestano la loro paura per un ritorno troppo affrettato alle celebrazioni. Da un lato si può capire la loro apprensione, tuttavia, il vero punto è: desideriamo davvero e profondamente la comunione con Gesù? Non è una domanda peregrina, anzi, la deprivazione di questi mesi dovrebbe in qualche modo inquietare il nostro cuore, il quale, avrebbe detto Sant’Agostino, non trova pace finché non riposa in Dio.

Risulta molto illuminante, a tal proposito, una lettera del vescovo ausiliare Paolo Ricciardi, pubblicata sul sito della diocesi di Roma. È “normale” e “naturale”, osserva il presule che, “dopo quasi due mesi di ‘digiuno’, si alzi la voce per gridare la nostra Fame. È segno di Amore, è nostalgia di Dio e della comunità”. Ciononostante, è inopportuno che la nostra voce “si alzi contro il governo, contro la cultura che non è più cristiana o contro la società”. La nostra voce deve alzarsi innanzitutto “per esortare prima di tutto noi cristiani a credere in ciò che celebriamo”. Questo desiderio, però, ha senso soprattutto se è accompagnato dal desiderio di una vera comunione fraterna e di una messa vissuta non come “un dovere” ma come “una necessità, come il cibo quotidiano, che non può essere regolata dal ‘se me la sento’ o ‘se mi va’”. Non un rito formale ma un’occasione che ci aiuti a desiderare “il Banchetto del Cielo, di cui l’Eucaristia è segno e pegno”, ha aggiunto monsignor Ricciardi.

Allora, se desideriamo sinceramente una comunione che non sia solo spirituale, se ci interessa, oltre al pane della terra, il pane del Cielo, se ancor più della vita terrena, abbiamo a cuore la Vita eterna, è arrivato il momento di “scatenare il Paradiso”: quale momento migliore per farlo del mese mariano? Ognuno praticherà la sua specifica devozione, tuttavia, ci permettiamo di sottolineare che, nelle situazioni particolarmente complesse e angosciose, una delle preghiere più consigliate è la novena a Maria che scioglie i nodi. I tempi e i modi concreti in cui la vita liturgica e comunitaria torneranno alla normalità sono di importanza relativa. Chiedere ardentemente a Dio questo ritorno è invece una priorità assoluta e vitale. Che la Chiesa italiana abbia inaugurato questo mese mariano con un affidamento a Maria, in un momento così cruciale, può soltanto indurre alla speranza.