L’agnello, l’uovo, la colomba: perché a Pasqua li mangiamo?

Uova di Pasqua
Foto: Lucia (Flickr)

Ancor più del Natale, la Pasqua offre una simbologia in cui il legame con la tradizione religiosa è molto stretto e immediato. Nel folclore del cristianesimo occidentale e, in parte, anche in quello orientale, l’uovo, l’agnello e la colomba si identificano tutti con la Resurrezione del Signore.

L’UOVO È IL SEPOLCRO DA CUI SGORGA LA VITA RINNOVATA. La distribuzione di uova di cioccolata ha avuto origine a metà del secolo scorso ma l’usanza di decorare le uova per Pasqua risale già al Medioevo, prendendo forma in particolare nell’Europa centrale. Si bolliva un uovo e lo si avvolgeva con foglie e fiori per dargli colore. Le uova venivano donate in segno di servitù, talvolta decorandole con altri ingredienti come le cipolle. In molte località italiane, è ancora in uso consumare l’uovo sodo durante il giorno di Pasqua, mentre, secondo alcune tradizioni, ci si asteneva dal mangiare uova durante la Quaresima, per accumularle in vista della Pasqua. Gli ortodossi, in particolare in Ucraina, sono soliti dipingerle di rosso, a simboleggiare il sangue versato da Cristo in croce. Il primo uovo di Pasqua sarebbe stato donato nel 1176, dall’abate di Saint Germain-des-Près a re Luigi VII, appena rientrato dalla seconda crociata.

L’uovo ha sempre avuto un forte valore simbolico anche nelle civiltà precristiane. Gli egiziani lo consideravano il fulcro dei quattro elementi – aria, acqua, terra e fuoco – e immaginavano che l’intero cosmo avesse forma di uovo. I persiani erano soliti decorare le uova in concomitanza con le celebrazioni dell’equinozio di primavera, che corrispondeva anche al nuovo anno.

La Pasqua cade sempre nelle prime quattro settimane di primavera, richiamando così l’attenzione sulla natura e sulla vita che si risvegliano. Anche l’uovo, del resto, custodisce la vita che nascerà, così come il Sepolcro custodisce il corpo di Gesù morto, prima di riacquistare la vita e donarla per l’umanità. L’uovo, quindi, evoca il nudo e freddo sasso sepolcrale, pronto ad andare in frantumi con la Resurrezione.

L’AGNELLO CHE TOGLIE IL PECCATO. La tradizione dell’agnello è invece veterotestamentaria. Considerato simbolo di innocenza, purezza e fragilità, veniva offerto in sacrificio (olocausto), come qualcosa di bello e prezioso che l’uomo offriva a Dio. Nel Nuovo Testamento, il primo ad annunciare Gesù come “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29) è San Giovanni Battista ma già Isaia profetizza il destino del Messia: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53,7). Diventato simbolo della Pasqua ebraica, l’agnello veniva immolato alla vigilia della Pasqua e, provvidenzialmente, Gesù viene crocifisso proprio in quel giorno.

Già nell’Esodo (12,1-14,46), comunque, il Signore, tramite Mosè e Aronne, comanda al suo popolo che ogni famiglia si procuri un agnello “senza difetto, maschio”) da sacrificare il decimo giorno del primo mese del calendario lunare ebraico e da immolare “tra i due vespri”. Effettivamente la crocefissione di Gesù avvenne proprio il giorno 10 di Nisan, nell’orario tra mezzogiorno e il tramonto, che corrisponde proprio alle 15, secondo la tradizione, ora della sua morte.

Nella stessa profezia, il Signore annuncia che “in quella notte ne mangeranno la carne”: è quello che poi avviene nell’Ultima Cena. L’agnello andava “arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere”: qui c’è il richiamo all’usanza di arrostire l’agnello infilzandolo con un bastone di melograno, mentre un secondo bastone veniva fatto passare attraverso le spalle; l’immagine è proprio quella della croce. Infine, il Signore ordina: “Non ne spezzerete alcun osso”. Effettivamente a Gesù, i soldati non dovettero spezzare le gambe perché era già morto (cfr Gv 10,32-36).

LA COLOMBA, TRA STORIA E LEGGENDA. Simbolo dello Spirito Santo e della Pace che Gesù distende sul mondo con la sua Resurrezione, per iniziativa della Motta, è diventata un dolce pasquale a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, sulla scia del già diffuso panettone natalizio. Esiste, comunque, una tradizione culinaria non industriale radicata in Sicilia: quella dei palummeddi, pasteforti dalla forma, appunto, di una colomba, realizzati con zucchero, farina doppio zero e cannella.

La colomba pasquale moderna nasce in Lombardia, negli stessi territori, dove secondo due leggende, in epoca longobarda, sarebbero stati realizzati due dolci simili. Il primo fu offerto in segno di pace al re Alboino, durante l’assedio di Pavia. Il secondo episodio narra dell’arrivo a Pavia di San Colombano, intorno al 612. Il monaco irlandese fu ricevuto assieme ai suoi compagni dalla regina Teodolinda, che fece servire loro in omaggio laute libagioni, comprendenti anche carni, che i monaci rifiutarono, essendo in tempo quaresimale. La regina rimase irritata ma Colombano, per non offenderla, spiegò che i monaci ne avrebbero mangiato dopo aver benedetto quelle pietanze. Compiuto il gesto della benedizione, il santo trasformò quelle carni in delle colombe di pane, cosicché poterono cibarsene, senza violare il precetto dell’astinenza quaresimale.