Legge 194 un “pilastro”? Eccellenza, ci spieghi perché…

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita
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È uno degli argomenti tabù per la nostra opinione pubblica. Quantomeno in Italia, se ne parla poco e, quando si tratta l’argomento, lo si fa quasi sempre a sproposito. Stiamo parlando dell’aborto, tema intorno al quale, una vera discussione è ormai congelata dal 1981, anno in cui lo storico referendum certificò il favore del 68% dei votanti alla Legge 194, approvata tre anni prima.

Lo stato del dibattito nel nostro Paese è paradossale, ai limiti del surreale. Pur essendo vigente una legge piuttosto permissiva (nell’applicazione, più che nell’impianto generale), a lamentarsene sono soprattutto i Radicali e le femministe, che vorrebbero liberalizzare ulteriormente la pratica. I pro-life e i cattolici, che, al contrario, avrebbe buone ragioni per mobilitarsi e cambiare le cose, finiscono sorprendentemente per essere i più strenui difensori dello status quo.

Se n’è avuta una conferma in queste settimane pre-elettorali. Nessun politico di alcuno schieramento ha sollevato la questione. Si è dovuta attendere l’esternazione dell’ormai onnipresente Chiara Ferragni, per attizzare clamorosamente il dibattito su un argomento sempre regolarmente estraneo alle campagne elettorali. Se l’influencer per definizione non si fosse pronunciata a riguardo, c’è da scommettere che nessun giornalista avrebbe pensato di scomodare un intervento di monsignor Vincenzo Paglia, per portare alla luce le ragioni della Santa Sede.

Intervistato da Agorà Estate su RaiTre, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita ha così espresso una posizione che, tuttavia, riflette più le sue idee personali che quelle del Magistero. La Legge 194, secondo monsignor Paglia, sarebbe “un pilastro della nostra vita sociale”, da non mettere “assolutamente in discussione”. Sulla prima affermazione, è difficile dargli torto. La mentalità abortista è ormai profondamente radicata nel Paese, nel senso in cui è molto difficile trovare qualcuno che, ipoteticamente eliminata la 194, non intravvederebbe lo spauracchio dell’aborto clandestino e delle “mammane”.

Quando però afferma che la normativa vigente non va messa in discussione, monsignor Paglia esprime comunque un punto di vista piuttosto diffuso sia nel clero che nel laicato: la 194, in fin dei conti, sarebbe una buona legge, poiché nella sua prima parte stabilisce una serie di misure preventive nei confronti dell’aborto stesso, giustificando così la dicitura di “tutela sociale della maternità”, contenuta nel nome stesso della legge.

Da ormai almeno quarant’anni, il mainstream cattolico e pro-life sposa la linea della “non-belligeranza”: non insistere troppo sull’iniquità dell’aborto, cercando piuttosto di prevenire il fenomeno, attraverso misure che incoraggino il più possibile le donne a non rinunciare alla maternità, a partire dai centri di aiuto alla vita. Si tratta di una linea all’insegna del realismo estremo, per cui la discussione etica è stata posta in secondo piano, probabilmente in nome della coesione sociale. La narrazione prevalente è sempre stata quella di evitare argomentazioni divisive o troppo polarizzanti. Per parecchi anni si è evitato di andare a monte del problema, privilegiando un approccio pragmatico, concentrato più sulle conseguenze che sulle cause.

Ben diverso è l’approccio degli ultimi pontefici che, pur incoraggiando il lavoro costruttivo promosso dall’episcopato italiano e dalle realtà associative, non hanno mai abbassato la guardia sulla natura malvagia dell’atto abortivo. Nell’enciclica Evangelium vitae (1995), San Giovanni Paolo ammonisce: “Le leggi che, con l’aborto e l’eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini”. Quelle stesse leggi, rimarcava il pontefice polacco, “si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. […] L’aborto e l’eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”.

Nel Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della Pace (2013), Benedetto XVI sottolineava che “l’uccisione di un essere inerme e innocente” non potrà mai “produrre felicità e pace”. Pertanto, non è nemmeno giusto “codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii” che “minacciano il diritto fondamentale alla vita”, aggiunge il papa emerito. Da parte sua, papa Francesco ha più volte affermato che l’aborto è “omicidio”, usando anche metafore forti come quella dell’“affittare un sicario” o del “nazismo in guanti bianchi”. In varie occasioni, Bergoglio ha poi difeso il diritto all’obiezione di coscienza, deplorando l’attuale “moda” di pensare a una sua soppressione nei nostri ordinamenti.

Se queste sono le premesse, diventa davvero ardito anche solo pensare alla 194 come una “buona legge”. Per converso, è altrettanto vero che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e che, all’interno della stessa legge sono contenuti anche dei principi in grado di limitarne i danni. Rimane comunque un dato di fatto: una legge che rende lecita un’azione malvagia è, per ciò stesso, una legge iniqua e malvagia, per la quale un’abrogazione sarebbe auspicabile. Sull’“indiscutibilità” della 194, oltretutto, l’episcopato italiano non è così compatto e unanime come sembra: le posizioni di vescovi come monsignor Antonio Suetta, infatti, dimostrano che la via di un superamento della legge è praticabile, pur trattandosi realisticamente di un obiettivo di lungo periodo e di complessa realizzazione.

Traendo le conclusioni, possiamo dire che, finché non sussisteranno le condizioni politiche per un’abrogazione della 194, sarà opportuno lavorare sull’opinione pubblica e sulla diffusione di una cultura della vita, applicando eventualmente la parte preventiva della legge. Con buona pace di monsignor Paglia e nel rispetto del ruolo da lui ricoperto, tuttavia, affermare che la Legge 194 sarebbe un “pilastro” della società italiana e che non andrebbe toccata, è un messaggio quantomeno fuorviante ed equivoco.