Nuovi cardinali per una Chiesa che cambia volto
Con la convocazione del prossimo #Concistoro, papa Francesco ci ha sorpreso nuovamente. I 14 #cardinali che riceveranno la berretta rossa in #SanPietro il 29 giugno 2018, rappresentano qualcosa di più della semplice avanzata di una “Chiesa delle periferie”, cui Bergoglio ci ha abituato fin dalle primissime battute del suo pontificato. Si tratta di nomine profondamente emblematiche di una concezione ecclesiale e di un programma di rinnovamento che si avvia a diventare irreversibile.
Le prime considerazioni che si sembra doveroso esprimere riguardano i numeri da record. Con il Concistoro del prossimo 29 giugno, saliranno a 61 (di cui 49 elettori) i cardinali designati da papa Francesco. Con una cadenza di ormai un concistoro all’anno (i precedenti si sono tenuti il 22 febbraio 2014, il 14 febbraio 205, il 19 novembre 2016, il 28 giugno 2017), quello di Francesco si rivela il pontificato post-conciliare a più alta densità di nomine cardinalizie. Se è vero che, in tal senso, San Giovanni Paolo II detiene il record assoluto in tutta la storia della Chiesa (231 cardinali nominati in 9 concistori, nell’arco di 24 anni), è anche vero che con Benedetto XVI è aumentato il numero di cardinali nominati mediamente all’anno (11 in 8 anni di pontificato), tuttavia, con le designazioni annunciate domenica scorsa, Francesco è arrivato a 12 cardinali nominati mediamente ogni anno. Completamente attribuibili a Bergoglio sono poi il massimo numero di nazionalità dei porporati (83) e il numero di nazioni per la prima volta rappresentate nel collegio cardinalizio (15 in totale, per la precisione: Haiti, Repubblica Dominicana, Myanmar, Panama, Capo Verde, Tonga, Repubblica Centrafricana, Bangladesh, Papua-Nuova Guinea, Mongolia, Lesotho, Mali, Svezia, Laos, El Salvador).
Una Chiesa sempre più globale e “periferica”. Da tempi non sospetti, Bergoglio ha intuito che il futuro della Chiesa non è più nella vecchia Europa, né in Occidente ma nei paesi emergenti, dove la fede è più genuina e dove le vocazioni sono numerose, quando non addirittura in aumento. La presenza sempre più consistente di africani e asiatici nel collegio cardinalizio non è puramente simbolica ma intende conferire una rilevanza concreta a chiese di paesi particolarmente disagiati o problematici, dove spesso il cattolicesimo è in minoranza, e, al tempo stesso, tracciare un sentiero per la Chiesa del futuro, il cui prossimo Papa potrebbe anche provenire da uno di questi paesi “outsider”. In quest’ottica va inquadrata la nomina di porporati come l’arcivescovo di Huancayo, monsignor Pedro Barreto, paladino dei diritti degli indigeni amazzonici del Perù, più volte minacciato per il suo impegno civile, di monsignor Desiré Tsarahazana, presidente della Conferenza Episcopale del Madagascar, o dell’ultraottantenne (quindi non elettore) boliviano monsignor Toribio Ticona Porco, che in gioventù si guadagnava da vivere come lustrascarpe, minatore e strillone.
Un occhio di riguardo ai cristiani perseguitati. Se nel concistoro del 2017 era spiccata la nomina cardinalizia del nunzio a Damasco, monsignor Mario Zenari, nell’annuncio al termine del Regina Coeli di domenica scorsa, non è passata inosservata la designazione di monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, e di Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei. Tanto il Pakistan quanto l’Iraq sono l’emblema di due chiese martiri, delle quali molti fedeli hanno versato il sangue per la propria fede o sono fuggiti dal proprio paese. Le nomine di Coutts e Sako sono quindi un segnale di incoraggiamento e di vicinanza alle rispettive comunità e, al tempo stesso, di una volontà di proseguire con più forza il cammino del dialogo islamo-cristiano. Entrambi questi pastori, infatti, risultano particolarmente stimati e rispettati dagli imam locali e dalle comunità musulmane moderate.