Paolo VI: un papa, un santo, un uomo libero

Paolo VI: un papa, un santo, un uomo libero

Di salute fragile ed animo ipersensibile, Montini spesso cadeva realmente vittima di crisi depressive. Dotato di garbo e intelletto acutissimo, fu tutto tranne che un carrierista, né aveva – secondo i crismi mondani – la stoffa del leader. La sua incredibile ascesa, prima come assistente ecclesiastico nazionale della FUCI (1925-1933), poi come Sostituto alla Segreteria di Stato (1937-1954), infine come arcivescovo di Milano (1955-1963) e papa (1963-1978), è quindi davvero un segno della “predilezione divina” nei confronti di un umile servitore, emblema vivente di quanto affermava il suo omonimo santo di Tarso: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,10).

Quello di Paolo VI non fu un pontificato contrassegnato da gloria, né da particolare popolarità. Il suo magistero scontentò sia le ali “destre” che “sinistre” del mondo cattolico. I conservatori non gli perdonarono la riforma liturgica del 1969 (altare rivolto al popolo, letture nelle lingue nazionali, ecc.), mentre i progressisti considerarono un tradimento l’Humanae vitae, che, a distanza di mezzo secolo, rimane un baluardo a difesa del matrimonio cristiano e contro la banalizzazione della sessualità. Nella Populorum progressio, altra enciclica “profetica”, ribadì la necessità di un’economia al servizio dell’uomo, anticipando molti degli spunti sviluppati poi dai successori nella Centesimus annus (1991), nella Caritas in veritate (2009) e nella Laudato si’ (2015). Primo pontefice a compiere una visita pastorale internazionale (Terra Santa, 1964), fu anche il primo papa ad incontrare rappresentanti delle chiese ortodosse e protestanti, dando così vita all’ecumenismo moderno.

La vita di Paolo VI non fu esente da dolori. Durante il Concilio, i suoi più fidati amici lo avrebbero tradito, arrivando a produrre sottobanco un documento – mai approvato – che, di fatto, poneva fine al primato petrino*. Sul finire dei suoi giorni, l’ultimo terribile dramma: il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro (1916-1978), suo figlio spirituale dai tempi della FUCI. Con il delitto Moro, si chiude tragicamente una lunga e fruttuosa stagione politica, in cui lo statista salentino – così simile per approccio e forma mentis al pontefice bresciano – era stato il più fedele estensore del pensiero e del magistero montiniano nella società civile e nelle istituzioni. “Tu non hai esaudito la nostra supplica”, fu il desolante grido di Paolo VI al Signore, dopo l’inutile appello a liberare Moro “senza condizioni”. Un grido simile a quello di Giobbe (cfr Gb 16,12-14), o di Cristo morente che chiede al Padre perché l’ha abbandonato. La Via Crucis di Giovanni Battista Montini sta volgendo al termine: il fragile cuore del Papa ottantenne non reggerà un trauma così grande e, dopo meno di tre mesi, il 6 agosto 1978, Paolo VI spira nella residenza pontificia estiva di Castelgandolfo.

Un “martirio bianco”, quello di papa Montini, un lento consumarsi per Cristo, per la Chiesa. Un papa fuori dal tempo. Forse troppo all’antica, più probabilmente troppo al passo coi tempi. Sicuramente un uomo libero. Libero dalle apparenze e da tutti i cliché umani ed ecclesiali della sua epoca. Pronto a pagare di persona per quella libertà. Proprio come avviene con i santi.

*La vicenda, storicamente mai confermata, è stata raccontata nel romanzo di Rosa Alberoni, Intrigo al Concilio Vaticano II (Fede&Cultura, 2010)