L’espressione “bandiera bianca” è generalmente usata in senso spregiativo. Viene identificata con l’arrendevolezza, la rassegnazione, l’ammissione di una sconfitta. Papa Francesco ha parlato in questi termini nel corso della sua intervista rilasciata alla Radiotelevisione svizzera e, ancora una volta, ha diviso l’opinione pubblica. La mentalità riduzionista e faziosa dell’uomo medio attuale ha interpretato subito le affermazioni del Santo Padre come un tradimento nei confronti dell’Ucraina nel suo momento di maggiore difficoltà, a due anni dall’invasione russa.
La complessità delle parole e dei concetti è qualcosa di sempre più difficile da padroneggiare, quando, su qualunque tema di interesse pubblico, l’unica logica possibile sembra essere quella delle tifoserie da stadio. Eppure il Papa non ha fatto altro che ribadire concetti che sposano il buon senso comune cristianamente ispirato: “E’ più forte chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca”. E ha aggiunto: “Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa”. A Gaza, poi, “gli irresponsabili sono due”, ovvero entrambe le parti in conflitto. Rispetto a entrambe le guerre più importanti in corso (giova tuttavia ricordarlo: i conflitti in tutto il pianeta sono tristemente molti di più), il Santo Padre non si è limitato a sposare la causa del negoziato e del dialogo ma ha anche mantenuto una tenace equidistanza.
Uno stile diplomatico che non è improvvisato ma che, al contrario, si riflette nell’azione politica della Santa Sede nel suo complesso. Se quindi, da un lato l’esortazione ad “alzare bandiera bianca” era rivolta essenzialmente agli ucraini – verosimilmente destinati a perdere la guerra – affinché si eviti l’ennesimo bagno di sangue, alla controparte russa, si è rivolto il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, nel momento in cui, intervistato dal Corriere della Sera, ha sostenuto che “a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori”.
La posizione del Papa sui conflitti più recenti non è universalmente compresa. Tutt’altro. Il pacifismo di Francesco va in rotta di collisione con tutto quel mondo progressista e liberal che lo appoggia sui migranti, sui vaccini o sulle (vere o presunte) “aperture” intorno a certi temi etici. In Italia ma non solo, c’è una stampa che per anni ha coccolato il Pontefice argentino, facendo leva anche sulla sua forza mediatica, e che ora, sulla guerra, si ritrova su posizioni opposte.
Sull’Ucraina (ma anche su Gaza), la dialettica pace-guerra sta andando incontro a dinamiche inedite e anomalie quasi imbarazzanti. Da un lato l’avversione alla guerra è un fatto sempre più radicato nelle masse ed è trasversale alle ideologie tradizionali. Vogliono la pace – spesso per ragioni diverse – gli atei e i cristiani, chi vota a destra e chi vota a sinistra, chi ama il Papa e chi lo detesta. C’è molta più gente che desidera la pace oggi, che non ai tempi delle grandi manifestazioni del secolo scorso contro la guerra in Vietnam (anni ’60) o contro lo scudo spaziale (anni ’80). Al tempo stesso, però, non ci sono più le folle di un tempo a scendere in piazza per la pace, mentre le classi dirigenti attuali – le prime a non aver vissuto il dramma della guerra combattuta o subita – si ritrovano a parlare, con sempre più inquietante disinvoltura, di conflitti nucleari e di opportunità di inviare truppe della Nato in Ucraina: si pensi al presidente francese Emmanuel Macron o alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
Per quanto possa essere risultato gradito a un certo establishment per il suo approccio moderno e dialogante con il mondo, in tema di pace e di guerra, Bergoglio si pone come segno di contraddizione e spiazza tutti, sia chi lo apprezza, sia chi lo denigra. Indubbiamente, è proprio sul fronte diplomatico che l’attuale pontificato svela il suo volto più profetico e, proprio per questo, destinato all’incomprensione e al non ascolto, come avviene in tutte le epoche difficili, in cui la confusione tra bene e male la fa da padrone.