Quei portuali con il rosario in pugno

Rosario portuali Trieste
Foto: Local Team - YouTube

Stiamo vivendo tempi davvero straordinari. C’è chi parla, non senza una ragione, di tempi duri ma forse è più corretto parlare di tempi di sfida. Sì, siamo sfidati, sfidati profondamente nei nostri schemi quotidiani e in tutte le nostre certezze terrene. Una sola certezza, forse, rimane in piedi: restare neutrali non si può. Quasi ogni giorno, ormai, i media ci presentano immagini di una tale eccezionalità, che non possiamo limitarci a descriverle: una nostra presa di posizione, un nostro approccio non superficiale, una nostra valutazione critica diventano quantomeno opportuni. Mai come in questo momento storico, bisogna vincere la paura di esprimere la propria opinione. Anche a costo di sbagliare rovinosamente.

Uno spunto di riflessione preziosissimo ci arriva dai fatti di Trieste di quest’ultima settimana. Tutte le nostre categorie mentali sono risultate scompaginate. Ci siamo ricordati, dopo anni di like e di hashtag, dopo decenni di ubriacatura digitale, che esiste ancora una classe operaia. Al contempo, ci siamo accorti che quei portuali che pacificamente protestavano, erano persone semplici ma tremendamente determinate. Persone che non seguono le mode ma pronte a lottare come leoni per diritti sacrosanti quali il lavoro e la libertà. Persone di umile estrazione, la cui ricchezza più grande non è in un conto in banca ma in una famiglia da proteggere, in figli da sfamare. Gente di ogni orientamento religioso, qualcuno credente in Dio, qualcun altro no, ma tutti quanti disposti a credere in un ideale e a pagare di persona per difenderlo. In un’epoca di compromessi e di manipolazioni, persone così suscitano il nostro stupore e la nostra reazione. O li ami o li odi.

Non è qui il caso di argomentare se le loro rivendicazioni siano in sé giuste o sbagliate. I portuali di Trieste hanno avviato la loro protesta, nella consapevolezza di avere poco da perdere e, al tempo stesso, tutto da perdere. Si può essere d’accordo o meno con le loro posizioni ma è incontestabile che, almeno finora, non hanno cercato alcun compromesso, né alcun accordo, né alcuno spazio mediatico per un eventuale nuovo leader politico o sindacale. Specularmente, è evidente che la politica e i sindacati hanno letteralmente abbandonato questi lavoratori al loro destino: un segno della scollatura sempre più evidente tra il popolo e le élite, oltretutto confermata, negli stessi giorni, dalla partecipazione ai minimi storici alle elezioni amministrative. Le vecchie categorie di destra e sinistra, di progressista e conservatore, contano ormai poco o nulla, polverizzate dagli esuberanti e ineffabili segni dei tempi.

La storia ci dirà molto presto se la battaglia dei portuali di Trieste per l’abolizione del green pass sia stata giusta o sbagliata. Il dato oggettivo, però, è stata la brutale risposta del potere nei confronti di centinaia di persone che protestavano pacificamente. Attempati dimostranti travolti dalla violenza del getto degli idranti. Padri di famiglia in lacrime che supplicavano clemenza. Donne a mani alzate che affrontavano a viso aperto gli agenti: “Cosa racconterete stasera ai vostri figli?”. Gestanti prese a manganellate. Per concludere, una selva di fumogeni e lacrimogeni sotto il cui fuoco di fila hanno rischiato di fare le spese persino dei bambini. Il cuore del faraone si è rivelato più impietrito che mai. Le forze dell’ordine si sono rese responsabili di una serie di abusi – non ultima la violazione di un porto franco – di cui forse un giorno sarà fatta giustizia. Non spetta a noi, però, condannare gli aggressori e i prepotenti. Non in questa sede.

L’elemento che più spicca alla nostra attenzione è infatti il risvolto spirituale della vicenda di lunedì scorso al porto di Trieste. Quelle catene di portuali mano nella mano a recitare il Rosario, con coroncina in evidenza non può non colpire la nostra sensibilità. Se n’è accorto persino un intellettuale laico e di sinistra come Aldo Nove, che commentando i fatti di Trieste sul suo profilo Facebook, si è soffermato sul “valore dei simboli”, riconosciuto come “molto più forte delle parole”. Simboli che non stanno a indicare tanto un “presidio del sacro” bensì una “presa di posizione del bene contro il male”, nella sempre più netta consapevolezza di “dove sia il MALE”.

Una quarantina d’anni fa, in un altro porto l’Europa, non sul Mediterraneo ma sul Baltico, divampava un’altra battaglia incruenta in nome della libertà. Dai cantieri di Danzica, armati soltanto di un rosario in pugno, i militanti di Solidarnosc hanno diffuso in tutto il mondo la loro lotta contro il male comunista. Laddove l’ora più drammatica è scoccata, laddove gli uomini ti hanno abbandonato, come per Gesù nel Getsemani, arriva il momento del faccia a faccia con il Padre. Lo ripetiamo per la quarta volta: non è detto che i portuali di Trieste siano necessariamente dalla parte giusta. Tuttavia, finora, la Storia non ha mai fatto eccezione: quando il popolo si ritrova solo e inerme davanti alla violenza del potere, Dio ha compiuto le sue opere più straordinarie: la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, la vittoria di Davide su Golia, fino alla Passione, Morte e Resurrezione di Nostro Signore. Nei duemila anni successivi, poi, il sangue dei martiri è sempre stato la semente per nuove terre cristiane. Che in questi tempi così aspri e spietati, stia per accadere qualcosa di straordinario?