La crisi del padre moderno: tra Edipo, Telemaco e il Figliol Prodigo

La notizia è di qualche giorno fa: in un prestigioso istituto didattico romano, in occasione della Festa del Papà, la dirigente scolastica ha chiesto agli insegnanti di comporre una nuova filastrocca, che celebrasse lo “spirito di inclusione” e la fine del pregiudizio verso le “famiglie arcobaleno”. Il tutto motivato dalla presenza in quella scuola di un alunno con due mamme, o meglio: la madre naturale e la sua compagna lesbica. Non è certo il primo caso, in cui nel nostro sistema educativo nazionale, la Festa del Papà viene stravolta (in certe occasioni è stata addirittura cancellata), per venire incontro ai “tempi nuovi”. Non è sempre e solo l’ideologia gender a ostacolare questa amata tradizione: un paio di anni fa, un’altra scuola pose il veto alla Festa del Papà, per non rattristare un alunno che era rimasto da poco orfano.

I pretesti per rimuovere la figura paterna dai percorsi pedagogici sono sempre i più disparati. E tuttavia, perché la sola parola “padre” risulta così scomoda e sgradita al giorno d’oggi? Da un lato, l’autorità paterna, specie dal ’68 in poi, è stata contestata e sommariamente identificata con l’autoritarismo, con la repressione degli istinti, della libertà e della creatività. Se 40-50 anni fa, tuttavia, il moto di ribellione partiva essenzialmente dai figli nei confronti dei padri, oggi questa “guerra” si manifesta sotto due forme fondamentali: 1) famiglie sempre più disintegrate, in cui sovente sono le mogli a chiedere il divorzio e ad aizzare i figli contro i padri, colpevolizzandoli oltre i loro reali (seppure spesso anche gravi) demeriti; 2) un establishment decisamente sbilanciato a favore delle figure femminili: tribunali che nelle cause di separazione puniscono pesantemente i padri; fiction, cinema e letteratura in cui il maschio è sempre il “cattivo” e i padri sono assenti, snaturati e totalmente disinteressati ai figli.

Se da un lato, l’indebolimento dell’archetipo maschile e paterno è una realtà innegabile, dall’altro il fenomeno è guardato con una certa condiscendenza oppure, al contrario, con cupa rassegnazione ad una deriva antropologica inarrestabile. Decisamente rare le voci fuori dal coro a favore di una rivalutazione della figura del padre. Eppure, in ogni famiglia, anche nelle più problematiche, non c’è moglie che non vorrebbe un marito “forte”, come punto di riferimento per la prole e non ci sono figli che non sentano la necessità di una presenza costante del padre nelle loro vite. Mentre i ragazzi del ’68 avevano dichiarato guerra ai loro padri, le generazioni successive ne soffrono terribilmente la mancanza o l’evanescenza.

Usando una doppia metafora legata alla mitologia greca, potremmo dire che i 60-70enni di oggi sono stati la generazione di Edipo, mentre i loro figli e nipoti appartengono alla generazione di Telemaco. Il principe di Tebe, tanto caro a Freud, uccide il padre e concupisce la madre, ponendo fine a qualunque tabù sociale. L’erede del regno di Itaca, al contrario, sopraffatto dalla nostalgia, dall’ammirazione e dall’affetto per il padre, intraprende un avventuroso viaggio per ritrovarlo.

Nel suo secondo romanzo Cose che nessuno sa (Mondadori, 2011), Alessandro D’Avenia, racconta il dramma a lieto fine della quattordicenne Margherita, che non rassegnandosi alla fuga di casa del padre, fugge anche lei per rintracciarlo e riportarlo alle sue responsabilità: suo padre forse non è un eroe come Ulisse ma la sua presenza in famiglia è indispensabile. Alla figura paterna e alla sua riscoperta, ha dedicato vari volumi* lo psicoterapeuta Claudio Risé, focalizzandosi, specie nei saggi più recenti, sul padre come colui che imprime nei figli il sigillo della libertà, colui che aiuta il bambino a distaccarsi gradualmente dalla protezione materna, a mettere in gioco per il proprio destino personale, ad assumersi una responsabilità nei confronti di se stesso, dei propri cari e del mondo.

Le conseguenze di una società senza padri sono sotto gli occhi di tutti e si traducono in una sola parola: crisi. È in crisi la famiglia, in cui i figli perdono tanto il senso del no e del limite (prerogative dell’educazione paterna) quanto la curiosità verso il mondo e lo spirito di conquista; una volta divenuti adulti, poi, scontano l’assenza di un padre che li incoraggi a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e cadono nell’amorfismo e nella rassegnazione. È in crisi la scuola che, di riflesso, vive le stesse dinamiche della famiglia e, in più, precipita nel tristissima spirale del nozionismo e del tecnicismo senz’anima, mortificando negli studenti la loro vocazione di protagonisti di un cambiamento sociale. Sono in crisi l’imprenditoria e la politica, scarseggiando leadership creative, dotate di senso del futuro, dello sviluppo e del bene comune. È in crisi, infine, la Chiesa, venendo a mancare le vocazioni sacerdotali, intese oggi più come una “professione”, sia pure legata al sacro, che non per quello che realmente sono, ovvero una paternità spirituale in grado di fecondare le anime e dare frutti di salvezza in abbondanza.

Di questa pluriforme crisi è ben consapevole anche papa Francesco che ai padri assenti ha dedicato un paio di udienze generali** e che, non casualmente, ha scelto come logo dell’ultimo Giubileo straordinario, l’immagine dell’abbraccio tra il Figliol Prodigo e il Padre Misericordioso, realizzata dall’artista gesuita Marko Ivan Rupnick. È proprio in quella parabola (cfr Lc 15,11-32), probabilmente la più celebre del Nuovo Testamento, che si riassume l’intera vicenda antropologica dell’ultimo cinquantennio: tra la fuga del figliol prodigo e il suo toccante rientro a casa, il momento storico attuale è paragonabile al drammatico passaggio intermedio, quello del giovane affamato, intento a nutrirsi di carrube e a pascolare maiali. Molti figli, tuttavia, sulla via del ritorno a casa ci sono già. Nella speranza di trovare a riaccoglierli padri davvero misericordiosi e non indifferenti. E fratelli maggiori non troppo inflessibili.

*Per approfondimenti:
– Claudio Risé,
Il padre. L’assente inaccettabile (San Paolo, 2009)
– Claudio Risé,
Il mestiere di padre (San Paolo, 2009)
– Claudio Risé,
Il padre: libertà dono (Ares, 2013)

**Per approfondimenti:
– Udienza generale, 28 gennaio 2015, La famiglia – 3. Padre (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150128_udienza-generale.html)
– Udienza generale, 4 febbraio 2015, La famiglia – 3 bis. Padre (II) (http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150204_udienza-generale.html)