Titti partorisce sua figlia destinata a morire dopo poche ore: Sarà Gesù a prendersela

Ho deciso di fan nascere mia figlia per poi lasciarla libera di andare da Gesù

Questa è la storia di una mamma che rinuncia all’aborto per accogliere la vita di sua figlia, affetta da una patologia incompatibile con la vita.

E’ una testimonianza di “gioia piena” come ama definirla, la protagonista di questa storia, una gioia sperimentata in un momento di dolore, di croce, di morte.

Si chiama Titti Mallitti , è sposata ed è mamma di 4 figli (Lucia, Benedetta Emilia, Aldo). Insieme a suo marito da tanto tempo percorrono il cammino neocatecumenale.  Tra le tre gravidanze che ha avuto, ce ne stata una, quella di Benedetta, abbastanza difficile che ha messo Titti e suo marito a dura prova.

Che cos’è la displasia tanatofora di cui era affetta vostra figlia?

La displasia tanatofora è una malattia definita come “incompatibile con la vita” extrauterina. La stessa parola “tanatofora” deriva dal greco e vuol dire “morte”. Questa malattia non è ereditaria, deriva da una mutazione ex novo. Nella displasia tanatofora le ossa lunghe non crescono in modo regolare, quindi la gabbia toracica più piccola del normale non può ospitare cuore e polmoni insieme.

A quel punto il medico vi consigliò come unica “cura” l’aborto terapeutico e voi nonostante siete stati da sempre cristiani, vi lasciaste convincere dalle parole di quel medico …

Il comportamento del medico fu quello comune alla maggioranza: ”c è un problema! Si risolve con l aborto!” Nessuna parola della possibilità di portare avanti la gravidanza, nessuna parola sulla comfort care e sull’accompagnamento terapeutico. Niente! Ci fu solo detto che la cura in questi casi è l aborto terapeutico. Ed io, noi, ci convincemmo che quella; la soppressione di un figlio nel grembo, forse era una cura.

Ci spieghi bene che cos’è l’aborto terapeutico e in cosa consiste?

E’ facile scegliere l’aborto terapeutico se è l’unica strada che i ginecologi, spesso anche obiettori, ti consigliano.
Immaginate un po’: sei al 5 mese di gravidanza e ti dicono che tua figlia, che porti in grembo, morirà alla nascita. Ti dicono che nascerà come un mostro, ti dicono che morirà in atroci sofferenze. Qual è il primo istinto di una mamma? La protezione. E quindi domandi, “cosa posso fare IO, LA MAMMA?” E ti rispondono: “La terapia è uccidere tua figlia!”. Cosa puó rispondere una mamma? Se quella è la terapia, se questa è la cura, sì, lo farò. Per Amore di mia figlia, lo farò! Mi farò introdurre in vagina delle “fialette” di prostaglandine, mi farò indurre un parto. Sarà prematuro, contro natura, e sarà più doloroso di un parto normale: non basterà di sicuro “una fialetta”, ne occorreranno almeno tre e, se dopo due giorni, mia figlia, ancora attaccata alla vita, non sarà uscita, mi faranno riposare e poi riprenderanno, dopo un giorno o due, a rimettermi “le fialette” in vagina e a indurmi di nuovo le contrazioni. Cosa pensavate fosse un aborto terapeutico? Partorire non per dare la Vita, ma la morte!
La dottoressa che mi spiegò come avrebbe effettuato l’aborto, mi disse:
«Ti indurrò un parto con le prostaglandine»
«Partorirai il feto vivo o morto!», mi disse.
Le chiesi: «Vivo?».
E lei: «Sì e se capita purtroppo la legge ci impone di rianimarlo».
“Purtroppo”, disse! Quel “Purtroppo” ancora BRUCIA nella mia anima!

Cosa ti fece cambiare idea al punto di rifiutare di abortire?

La verità è che è stata una “chiamata”!
Io ho sentito Forte nel mio cuore la chiamata ad accogliere la Vita di mia figlia, così com’era, No perfetta come tutti ce l’aspettavamo, ma  diversa, malata, bisognosa, fragile. Per molti Benedetta era imperfetta, una vita inutile, che per nascere necessitava una “sofferenza inutile”, senza senso!
Ma la Verità quando parla nel cuore non puoi fare finta di ascoltarla. La Verità è chiara! Non la puoi confondere.

Trovandoti nel reparto ostetrico, incontrasti molte donne in procinto di abortire ma una in particolare ti colpì, aveva un bel pancione ed era in attesa di una bambina con la sindrome di down, anche lei in attesa di abortire … Quali furono le parole di quell’incontro?

C’era una donna, una mamma, con la mia stessa panciona che aspettava con me. Anche lei era lì per un aborto terapeutico. Mi feci coraggio, avevo bisogno di parlare! Lei stava vivendo il mio stesso incubo!
Le chiesi: «E tu?».
Mi rispose: «Ha la sindrome di Down». Li capii e pensai: «Ma perché se il mio è un aborto terapeutico inevitabile, viene considerato come quello di chi ha un figlio Down? Non si fa solo per i bimbi incompatibili con la vita?».
La prima luce si accese.