Acqua santa: perché non la riportiamo in chiesa?

Acquasantiera
Foto: Marian Kloon (Flickr)

Lentamente e gradualmente anche la vita nelle parrocchie sta tornando alla “normalità”. Nella sostanza e nella tempistica, la Conferenza Episcopale Italiana ha scelto di uniformarsi all’allentamento delle restrizioni predisposto dal governo. Da ieri, 1° aprile, in ambito civile il green pass rafforzato è stato cancellato da quasi tutti gli ambienti, permanendo temporaneamente in certi contesti nella sua versione “base”. Sulla stessa lunghezza d’onda, anche in chiesa sono entrate in vigore regole meno stringenti rispetto a quelle in vigore dal maggio 2020.

La CEI ha inoltrato una serie di “consigli e suggerimenti”, il primo dei quali sottintende il venir meno dell’obbligo della mascherina al chiuso da maggio. “Il DL 24/2022 proroga fino al 30 aprile l’obbligo di indossare le mascherine negli ambienti al chiuso”, indicano i vescovi. Decadrà, poi, l’obbligo della “distanza interpersonale di un metro”, salvo il consiglio di “evitare assembramenti specialmente all’ingresso”. L’eucaristia si continuerà a distribuire “preferibilmente nella mano”, mentre, per lo scambio della pace, si continuerà “a volgere i propri occhi per intercettare quelli del vicino e accennare un inchino, evitando la stretta di mano o l’abbraccio”. Permarrà anche la prassi dell’igienizzazione delle mani all’ingresso dei luoghi di culto e delle superfici degli stessi luoghi sacri, senza trascurare “il ricambio dell’aria sempre, specie prima e dopo le celebrazioni”.

Un aspetto rilevante delle nuove disposizioni è che, ancora per molto tempo, le acquasantiere si proseguirà col “tenerle vuote”. L’acqua santa è stata davvero la grande assente degli ultimi due anni di vita comunitaria. Non parliamo di una semplice assenza fisica dalle chiese ma di un vero e proprio oblio nei discorsi pastorali. Se si dovesse fare una graduatoria di priorità per le diocesi e le parrocchie d’Italia, avremmo gioco facile nel dire che il ritorno dell’acqua santa verrebbe collocato in ultima, massimo penultima posizione.

Eppure, a giudicare dai discorsi “a microfoni spenti”, nell’informalità delle conversazioni tra fedeli comuni, emerge che la nostalgia dell’acqua santa non manca. C’è chi, a distanza di due anni, come gesto automatico, consolidato dall’abitudine, continua istintivamente a intingere la mano nell’acquasantiera vuota. Altri, più plasticamente, si sono adattati al gesto dell’igienizzazione delle mani al momento dell’ingresso in chiesa. L’abitudine, un pizzico di paura dei contagi, l’accondiscendenza alle nuove regole di vita sociale portano forse alcuni a confondere inconsciamente quella che è una prassi igienica con un vero e proprio rito. Quasi come se il gel fosse diventato la nuova acquasanta.

Non per tutti, comunque, è così. Ci sono parrocchie che, nella massima discrezione, utilizzano a mo’ di nuove acquasantiere i dispenser a fotocellula. Evitando il contatto con qualsiasi oggetto, si può ricevere qualche goccia di acqua santa e, con quella, segnarsi. C’è anche chi si porta una boccetta di acqua santa da casa, facendone benedire di volta in volta il contenuto dal parroco.

L’acqua benedetta non è un rito scaramantico ma un vero segno della presenza del Signore tra noi. Il suo mancato utilizzo di certo non invalida le celebrazioni ma la sua presenza rappresenta indubbiamente una marcia in più per la purificazione delle anime. Perché dunque impedire di usarla a chi vorrebbe? Chi siamo noi per ostacolare la presenza di Dio in mezzo a noi?

Di fronte a questa lacuna, l’atteggiamento migliore è quello di essere “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). Se l’adattamento acritico alle nuove prassi è probabilmente il segno di una fede intorpidita, la sterile contestazione dell’attuale stato di cose è come minimo controproducente. Si può essere allora obbedienti alle gerarchie, dal parroco al Papa, passando per il vescovo, senza per questo perdere l’intraprendenza per le cose di Dio.

Continuare a utilizzare l’acqua santa “privatamente” oppure attraverso metodi “a prova di contagio” non è un atto di ribellione ma, al contrario, un atto di reverenza a Dio. Bisogna avere, però, un pizzico di coraggio, utilizzando nel migliore dei modi la libertà che Dio ci ha donato. Allora, già stasera o domani, al termine della messa, proviamo a fare al nostro parroco questa rispettosissima domanda: “Don, cosa ne pensa se provassimo a riportare l’acqua santa in parrocchia?”.