Il 23 e 24 novembre presso l’hotel Holiday Inn a Roma, si è svolto il 4° incontro Nazionale organizzato dalla Fondazione Il cuore in una goccia Onlus, che tra i vari fondatori vede la presenza del professore Giuseppe Noia, da 40 anni ormai, impegnato nelle cure pre-natali.
A fare da moderatrice dei quest’evento contornato di testimonianze, storie di coraggio che vanno oltre la malattia, vi era la giornalista e conduttrice televisiva Benedetta Rinaldi. L’abbiamo incontrata per parlare con lei del suo rapporto con la fede.
La conduttrice fra l’altro è anche in dolce attesa di una bella femminuccia, Elisabetta.
Cosa significa vivere la fede nel tuo ruolo di madre?
Il ruolo di madre è molto connaturato con l’amore per cui non vedo grandi difficoltà. Ho ricevuto io stessa amore da una madre che mi ha insegnato ad andare a messa e di conseguenza a credere. Proprio per questo credo che non mi sia difficile trasmettere la stessa cosa ai miei figli. Forse è un pò difficile conciliare l’essere credenti in un ambiente lavorativo che è abbastanza avverso a questo tipo di tematiche che comunque nei comportamenti non rispecchia quello che esattamente la fede ci suggerisce di fare.
Hai avuto la grazia di lavorare nel giornalismo cattolico, non sempre ma quasi, l’argomento per te è stata la fede anche nelle tue trasmissioni?
La partenza è stata proprio in ambito cattolico perchè ho iniziato con i sacerdoti salesiani dove studiavo, avevano una piccola radio locale dove mi sono sbizzarita ed ho imparato il mestiere.
Poi ho avuto 15 lunghi anni di collaborazione con Radio Vaticana, poi altri 3- 4 anni con “A Sua Immagine” e dopo aver conosciuto la parte più pacifica del mondo della comunicazione, mi sono approdata alla parte un pò più aggerrita però avendo le spalle abbastanza solide per potere affrontare qualsiasi cosa.
I programmi cattolici li ho fatti fino ad una certa età, dopo di chè con la maturità anche spero professionale, mi sono avventurata in ambiti un pò diversi. Forse il sistema è un pochino viziato, però le persone prese singolarmente hanno un grande bisogno di correttezza anche da ricevere non solo da dare. Per cui, credo sempre che il bene porti il bene o comunque viene compreso come bene e non crea quell’avversità nei confronti di un collega che magari percepisci più aggressivo.
Essere disposti di accettare le scorrettezze altrui non dico con il sorriso ma con una comprensione di fondo che aiuta il resto delle persone a comportarsi meglio pure se magari sono mangia preti.