Ma è proprio vero che il Papa si dimette? È la domanda ricorrente tra molti cattolici (e non solo) dall’inizio di questa settimana. Va fatta una premessa: le ricostruzioni giornalistiche non delineano mai la verità pura e semplice. Al limite offrono spunti e indizi sugli accadimenti che, per le più disparate ragioni, risultano pieni di lati oscuri. Partiamo allora dalla fonte: Libero è uno dei quotidiani più accesamente contrari a questo pontificato. L’autore dello scoop, Antonio Socci, si è poi sempre contraddistinto per essere uno dei più acerrimi critici di papa Francesco. Negli ultimi tempi, però, l’interesse nei confronti degli editoriali di Socci era notevolmente calato anche tra i cattolici poco riverenti verso il pontefice argentino. È quindi probabile che il giornalista e scrittore toscano abbia virato verso un cambio di strategia mediatica, gettando lo sguardo sul futuro immediato della Chiesa.
Proprio in considerazione delle posizioni assunte da Socci verso l’attuale pontificato, è evidente che il suo servizio-choc è da prendere molto con le molle. Difficile, però, pensare che un giornalista, anche molto di parte, come è effettivamente Socci, possa essere stato così ingenuo da diffondere un articolo privo di qualunque aggancio con la realtà. L’aspetto che appare più credibile nell’analisi esposta su Libero, dunque, è quello relativo alla salute del Papa, che starebbe effettivamente declinando. Per quanto in pubblico appaia discretamente forte e di buon umore, Francesco è pur sempre un uomo di quasi 85 anni, reduce da una delicata operazione al colon.
Che le condizioni fisiche del Pontefice non siano buone, a sostenerlo per primo non è Socci, bensì Il Sismografo, una delle fonti di informazione religiosa più legate – anche istituzionalmente parlando – alla Santa Sede. È stato proprio il direttore del Sismografo, Luis Badilla (giornalista cileno con una lunga militanza di sinistra, fuggito negli anni ’70 dalla dittatura di Pinochet, oggi grande estimatore di Bergoglio) a fornire a Socci gli spunti per il suo retroscena. Subito dopo l’intervento chirurgico sul Papa e, più di recente, in un’intervista rilasciata sempre a Libero, Badilla ha lamentato la scarsa trasparenza della Santa Sede sul reale stato di salute di Francesco, persino incoraggiando il Pontefice stesso a non essere eccessivamente discreto e riservato su questo aspetto.
L’operazione cui Francesco è stato sottoposto lo scorso 4 luglio al Gemelli, sostiene Badilla, è stata molto più delicata di quello che sembra, è riuscita piuttosto bene ma ciò non toglie che la malattia di cui soffre sia “severa”, “degenerativa” e forse “anche cronica”. In forza di questo, Bergoglio “dovrà cambiare molto della sua vita: fatiche, riposi, limiti, alimentazione, esercizi fisici riabilitativi”. Anche per questo, ha aggiunto Badilla, il Papa dovrà limitare le visite pastorali e dire addio in particolare ai viaggi intercontinentali. Rimangono confermate, comunque, le imminenti visite in Ungheria e in Slovacchia (12-15 settembre).
Quanto all’eventualità di una rinuncia di Francesco al soglio pontificio, Badilla – a differenza di Socci – respinge questa ipotesi. In effetti, Bergoglio è giunto a un’età in cui necessariamente dovrà rallentare i ritmi, evitando di lanciarsi in iniziative troppo impegnative. Ancora per molto, però, a Dio piacendo, dovrebbe essere perfettamente in grado di tenere in mano il timone di Santa Romana Chiesa. Ciò non significa affatto che l’ipotesi delle sue dimissioni sia peregrina: al limite non avverranno nei prossimi due mesi ma potrebbero verificarsi nei prossimi due anni. Non è un mistero, infatti, che, già dai suoi primi anni di pontificato, Bergoglio abbia preso in considerazione una scelta analoga a quella del suo predecessore Benedetto XVI. Si pensi a quando, alla fine del 2016, intervistato dalla Civiltà Cattolica, confidò: “Io ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve, 4, 5 anni [in questi giorni sta toccando gli 8 anni e mezzo, ndr]”.
L’allungamento dell’età media anche tra gli uomini di Chiesa pone seri interrogativi riguardo alla loro capacità di gestione del potere. Un dilemma emerso in tempi relativamente recenti con la malattia e l’agonia di San Giovanni Paolo II. È anche per questo che, come confermano numerose fonti giornalistiche, Badilla compreso, papa Francesco starebbe lavorando ad un motu proprio per regolamentare lo status giuridico-canonico del “papa emerito”. Il diritto del pontefice alla rinuncia al munus petrino è sempre stato previsto. Norme specifiche che disciplinino la figura del pontefice non più regnante, tuttavia, non esistono: le stesse dimissioni di Benedetto XVI nel 2013 hanno portato allo scoperto questo ‘vuoto legislativo’. Come dovrà vestirsi il “papa emerito”? Conserverà il titolo di “Sua Santità”? Potrà predicare pubblicamente o dovrà ritirarsi a vita monacale? Il prossimo documento pontificio sarà chiamato a rispondere a questi e ad altri quesiti e a disciplinare l’inedita situazione.
Corre voce che, così come San Paolo VI fissò l’età per il ‘pensionamento’ dei vescovi a 75 anni, Francesco possa indicare un limite per il Papa ad 80 o, più probabilmente, 85 anni. Una mossa del genere, però – ci permettiamo di dirlo – sarebbe piuttosto rischiosa in quanto accrescerebbe notevolmente il peso specifico dei cardinali elettori e il gioco dei pesi e contrappesi all’interno della Curia Vaticana. Cosicché, specie nel caso venisse eletto un papa particolarmente anziano, questi (indipendentemente dalle forze fisiche, dallo stato di salute dal carisma, ecc.) sarebbe costretto a decisioni importanti in tempi stretti, diventando così meno libero nella sua azione di governo della Chiesa. Sarebbe una svolta epocale, non sappiamo quanto positiva, che ridimensionerebbe notevolmente la figura del successore di Pietro, accrescendo, al contrario, il potere del sottogoverno ecclesiale e la competizione nella Curia e tra i vescovi.
Le nostre, naturalmente, sono considerazioni umane che nulla tolgono al soffio dello Spirito Santo, specie in decisioni così delicate per il futuro della Chiesa. Che tra qualche mese, i papi possano diventare tre, forse è secondario rispetto al fatto che la Chiesa continua a vivere il suo sofferto “cambiamento d’epoca”. In questo scenario difficilmente decifrabile con gli occhi della sola ragione, ogni fedele è tenuto a fare la propria parte, in un momento confuso e critico, in cui però più che mai emerge la consapevolezza che la storia della salvezza non la fanno gli uomini.