Disney: la caduta degli dèi

Disney store
Photo: rosalind (Flickr)

Questo 2023 è salutato a livello universale come un anno di ripresa. A ogni piè sospinto, in numerosi settori, dall’agroalimentare al turistico, le aziende annunciano fatturati da record con crescite a due cifre, in alcuni casi, persino superiori al pre-pandemia. Non tutto è rose fiori, comunque, o, almeno, non lo è per tutti.

Tra chi non se la passa troppo bene, figura anche qualche colosso multinazionale. Uno su tutti: la Walt Disney Company, che, un paio di settimane fa, ha annunciato dei tagli draconiani alle spese e al personale, per un totale di 5,5 miliardi di dollari e circa 7000 licenziamenti entro l’estate, parte dei quali, peraltro, disposti già lo scorso novembre. Una riduzione del 3% dell’intera forza lavoro della multinazionale.

L’amministratore delegato di Disney Bob Iger ha inviato una lettera a tutti i dipendenti: “Abbiamo preso delle decisioni difficili e non l’abbiamo fatto a cuor leggero ma ciascuna di queste decisioni è stata presa dopo essere stata ponderata con considerazione”. Il dirigente ha aggiunto che la multinazionale attraversa un “periodo di transizione” con “cambiamenti in arrivo” che “impatteranno su tutti, anche chi continuerà a mantenere la stessa posizione”.

Quella della Disney non è una crisi congiunturale ma strutturale, dal momento in cui i tagli al personale coinvolgeranno tutti i settori dell’azienda: gli studios, i parchi a tema, gli store. Oltretutto, il penultimo trimestre 2022 ha messo in evidenza risultati deludenti a tutti i livelli, con perdite dovute ai servizi in streaming. Le soluzioni? Impopolari: abbonamenti più costosi e annunci pubblicitari sulla piattaforma. A dispetto dei profitti aumentati dell’11%, del boom dei titoli all’inizio di quest’anno, rimangono campanelli d’allarme, dalla riduzione degli utili per azione (da 1,06 dollari a 99 centesimi) alla perdita di 2,4 milioni di clienti su base trimestrale per la piattaforma Disney+, dopo l’annunciato aumento delle tariffe.

Morale della favola: Walt Disney Company, con tutta probabilità, terrà botta ma sembra davvero destinata a diventare un prodotto d’élite, meno accessibile alle masse che in passato. È solo un problema di costi? Siamo di fronte all’ennesima speculazione finanziaria? Rimane il fatto che i contenuti disneyani continuano ad essere sempre meno “popolari”, in tutti i sensi. Del resto, la stessa storica gloriosa produzione disneyana non è rimasta esente dal rullo compressore del politically correct e un gran numero dei capolavori del passato sono rimasti vittime di una cancel culture, che trova pretesti sempre più assurdi. L’ultima polemica ha riguardato le caratteristiche fisiche dei personaggi di alcuni leggendari lungometraggi animati da Biancaneve, a La Bella Addormentata e La Bella e la Bestia, passando per Aladdin e La Sirenetta. Perché le principesse e le eroine positive hanno tutte un naso aggraziato, mentre le perfide streghe devono averlo ricurvo o aquilino? A domandarselo è stato l’ennesimo influencer su TikTok.

Stride il contrasto tra i prodotti disneyani del passato (si pensi alle diatribe che hanno riguardato Dumbo o Gli Aristogatti, già trattate in un precedente editoriale), ispirati a valori eterni, e quelli più recenti, sempre più improntati ad assecondare la mentalità dominante e il radicalismo di massa. Si pensi alle scene gay friendly sdoganate in film d’animazione destinati a un pubblico infantile come Frozen o Light Year. Del resto, è stato lo stesso Bob Iger ad annunciare un’accelerata sui contenuti LGBT+ nei prossimi film disneyani, nonostante alcuni clamorosi flop come Strange World. Per non parlare di un altro cartone come Little Demon, che ammicca evidentemente al satanismo.

Morale della favola: l’attuale dirigenza Disney, campando di rendita su un marchio che non potrà mai fallire, non ambisce più a lanciare storie indimenticabili, destinate a entrare nel cuore di milioni di spettatori grandi e piccini in tutto il mondo. Si “accontenta”, piuttosto, di compiacere un pubblico facoltoso e isolato nella sua bolla liberal, totalmente avulso dal mood della gente semplice, che invece continuerà ad apprezzare i tanto vituperati capolavori del passato. In certi ambienti liberal, l’ideologia è più forte della realtà e persino del business. Chi tira troppo la corda, tuttavia, dopo un po’ la spezza e ciò accade anche ai campioni (o presunti tali…).