Donne che accolgono la loro Croce: la sofferenza e la santità raccontate da Costanza Miriano

Al mondo ci sono due tipi di “eroi”. I primi sono quelli che finiscono su tutti i giornali, che appaiono in televisione, che hanno migliaia, anche milioni, di followers sui loro profili social. Sono i “semidei”, gli irraggiungibili, gli influencer, coloro che, conosciuti da chiunque, nel bene o nel male, fanno sempre parlare di sé. L’altra categoria sono coloro, che nell’anonimato della quotidianità, con umiltà e discrezione, continuano a rispondere alla loro vocazione familiare, lavorativa e religiosa. Costoro non sono dei vip, non hanno alcun interesse a diventare famosi, né cercano alcuna visibilità, eppure, una volta che li incontri, non puoi fare a meno di notarli. Li noti, perché hanno un’energia incredibile e un approccio alla vita sempre nel segno della speranza. Non sono mai centrati su stessi ma sugli altri.

Questa seconda categoria di eroi sono i protagonisti di Niente di ciò che soffri andrà perduto. Mistica della vita quotidiana (Sonzogno, 2020), l’ultimo libro di Costanza Miriano. Eroi ma, soprattutto, eroine. Sono infatti le donne ad essere in primo piano nelle storie riportate dalla giornalista e scrittrice umbra. La donna come “regina della casa”, colei che, per definizione, è sottomessa, ovvero rappresenta le vere fondamenta della famiglia, riferimento imprescindibile per il marito e per i figli.

Lo schema dall’opera ricalca quello del terzo libro della Miriano, La compagnia dell’agnello, che poneva al centro l’amicizia come collante per ogni cammino di santità, attraverso i buoni esempi che spingono i cristiani a “gareggiare nello stimarsi a vicenda” (cfr Rm 12,10) e a guardare all’altro non con spirito di competizione ma come un fratello che può sempre insegnarci qualcosa. In Niente di ciò che soffri andrà perduto, l’Autrice racconta di donne che hanno preso sul serio la loro chiamata al matrimonio e l’hanno seguita fino in fondo, anche quando ciò significava porsi sulle spalle una croce più pesante del previsto.

Donne come Caterina, che ha saputo credere nell’amore e negli uomini, pur essendo cresciuta con un padre violento e che, poi, da sposa e madre di famiglia, ha saputo resistere alla tentazione dell’adulterio. Donne come Gabriella, rimasta fedele al marito dopo essere stata abbandonata e tradita. O come Elena, che dopo aver rischiato di morire, ha deposto il suo orgoglio di donna dinamica ed emancipata, ha imparato a farsi coccolare dal marito e, in questo modo, ha salvato il suo matrimonio. Sullo sfondo delle vicende delle amiche di Costanza, scorrono parallelamente le vite mirabili di donne diventate sante o sulla buona strada per diventarlo: Elisabetta Canori Mora (1774-1825), Benedetta Bianchi Porro (1936-1964) o la meno nota Élisabeth Arrighi Leseur (1866-1914). Tutte accomunate da una lancinante sofferenza nel corpo o nell’anima, via irrinunciabile per il loro incontro con il Signore.

Storie drammatiche ma mai davvero tristi o amare, perché la croce, cristianamente intesa, non è mai un fine ma sempre un mezzo in grado di portarci alla meta della salvezza non più “a piedi” ma alla velocità di una Ferrari. Del resto, la Miriano non perde una virgola dell’irresistibile humour che l’ha resa famosa, specie nelle simpatiche digressioni sulle proprie vicende familiari. Una qualità rara, quella del saper giustapporre l’ironia alla trattazione dei temi “seri” per definizione: la salvezza degli uomini, il peccato, la redenzione e il destino eterno. Sappiamo bene, però, che questa dote è un dono di Dio, che ha reso ha reso grandi personaggi come San Filippo Neri, San Giovanni Paolo II, Gilbert K. Chesterton o, addirittura, Santa Teresa d’Avila.

Il valore aggiunto dell’ultimo libro di Costanza Miriano, tuttavia, risiede nella mai scontata capacità dell’Autrice di vedere nell’altro una creatura meravigliosa di Dio, in grado di accrescere la nostra umiltà e, nel contempo, la nostra gratitudine. E la Miriano lo fa, indicando l’esempio di altre donne, di amiche speciali, smentendo clamorosamente il luogo comune della competizione insita in ogni microcosmo femminile. In fondo non fu un gruppo di donne ad accompagnare Nostro Signore nel suo Calvario e nella sua morte ignominiosa, spalancando così la “porta stretta” della nostra salvezza?