Ecco perché a Greta Thunberg continuiamo a preferire San Francesco

Greta Thunberg / Statua di San Francesco - Santuario di Banchette a Bioglio (provincia di Biella, Piemonte, Italia)
Foto: Parlamento Europeo / Twice25 & Rinina25

Nella settimana dell’arrivo in Italia di Greta Thunberg per il suo breve ma intenso tour, qualcosa di grosso sembra davvero bollire in pentola. Per la prima volta, dopo quasi due anni, a tenere banco sui nostri media non sarà più l’emergenza sanitaria ma quella ambientale. La sensazione è fortemente suffragata da numerosi indizi. Se da un lato, certi hub vaccinali sono in smantellamento e da molti portali regionali risultano non più prenotabili le prime dosi, dall’altro arrivano una serie di segnali importanti. Ricevuta dal premier Mario Draghi, Greta è giunta a Roma accompagnata da una nuova testimonial dell’ambientalismo globale, la 24enne ugandese Vanessa Nakate. Evidentemente, l’idea di veicolare il messaggio in via esclusiva ai proclami di una giovane proveniente da un paese dall’altissimo tenore di vita, nonché all’avanguardia nelle politiche ambientali, pareva in un certo senso troppo scontata e “paternalista”. Si rendeva necessario, quindi, qualcuno che rappresentasse anche il popolo africano, già povero di suo, ora anche danneggiato dai cambiamenti climatici.

Fermo restando che le “migrazioni climatiche” sono un fenomeno tutto da dimostrare, le perplessità non finiscono certo qui. Continua a suscitare interrogativi, ad esempio, il fatto che, in ambito eco-climatico, per dei discorsi istituzionali, venga portata in giro tutto il mondo come una Madonna Pellegrina, una ragazza poco più che adolescente, senza titoli di studio, mentre ai pareri dei veri esperti si lasci uno spazio marginale. Un’asimmetria che, di certo – comunque la si voglia pensare – non si registra nei dibattiti televisivi sul Covid, che pure sono viziati dalla sovraesposizione di un gruppo limitato e costante di “soliti noti”, virologi ed infettivologi tutti sostanzialmente appartenenti alla stessa vulgata, oltretutto molto contraddittori nelle loro argomentazioni.

Ulteriore fattore di perplessità è rappresentato dall’inspiegabile rabbia della stessa Greta Thunberg nei confronti dei paesi occidentali ai quali ha rinfacciato una sostanziale inerzia e troppi “blablabla” sugli impegni nella riduzione di Co2. Allo stato dei fatti, però, si riscontra che se è vero che, rispetto agli accordi di Parigi sul clima (2015) e alla Cop24 (2018), le emissioni di Co2 non sono affatto diminuite, anzi sono aumentate, ciò è dovuto interamente allo sbilanciamento della produzione industriale in Cina, in India e in altri paesi asiatici, meno attenti sul piano ambientale rispetto all’Europa e agli USA, che – contrariamente a quanto afferma Greta – le stesse emissioni le hanno dimezzate del 30% e del 15%.

Altre notizie che lasciano pensare a una ricalibrazione politica e mediatica sui temi ambientali rispetto a quelli sanitari sono l’evoluzione della transizione ecologica, la crisi energetica nel Regno Unito, il rincaro delle bollette dell’elettricità in Italia e la fioritura di nuove ricerche sul cambiamento climatico, di carattere non tanto scientifico quanto sociologico. La prestigiosa rivista The Lancet, ad esempio, ha pubblicato un rapporto che illustra la percezione dei temi ambientali da parte dei giovani di tutto il mondo. Dall’India al Brasile, dalla Nigeria agli USA, dall’Australia al Regno Unito, vi è una tendenza comune: più della metà dei ragazzi intervistati rivela un incontenibile stato d’ansia riguardo al futuro climatico del pianeta, risultando condizionati in negativo nella loro capacità di dormire, studiare, mangiare o giocare. Molti temono seriamente per il proprio futuro e più della metà ritiene addirittura che l’umanità sia spacciata. Studiosi come la psicoterapeuta Caroline Hickman hanno sollecitato una risposta urgente a questo gravissimo disagio, definendolo un “danno morale per i bambini e i giovani” e addirittura una “violazione dei diritti umani”. È evidente che, al di là del reale stato di salute del pianeta, il clima mediatico di paura degli ultimi anni ha sortito i suoi palesi effetti.

Un quadro decisamente allarmistico, che però, se preso sul serio, rischia di porre una seria ipoteca sulle generazioni future, protagoniste passive di cambiamenti troppo rapidi e forzati che loro stesse non hanno voluto, né chiesto. Ai traumi legati alla pandemia, ai lockdown, alla didattica a distanza, si andrebbero ad aggiungere gli incubi a sfondo ecologico. Ogni generazione ha vissuto i suoi traumi e gli eventi del secolo scorso non sono stati certo da meno rispetto agli attuali. Questa, però, è la prima generazione cresciuta senza certezze né sul piano umano, né tantomeno su quello spirituale. Una generazione molto fragile, dunque, ma è proprio questa debolezza estrema che può diventare terreno fertile per una nuova evangelizzazione. Tra due giorni, celebreremo San Francesco d’Assisi. Il suo Cantico delle Creature, se riletto o riascoltato con attenzione, ha un pregio tra i tanti: stimola ad amare immensamente il creato non più con angoscia ma con gratitudine. Se il destino della terra tornasse affidato al Creatore e se l’uomo venisse finalmente considerato una risorsa e non il “cancro del pianeta”, anche le crisi ecologiche – grandi o piccole, vere o presunte – sarebbero affrontate da tutti con molto più spirito costruttivo e pace nel cuore.

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