La Giornata Mondiale della Gioventù più importante della storia è stata, con tutta probabilità, quella celebrata a Roma dal 15 al 20 agosto 2000. Un primato dovuto ad una serie di motivi: la GMG si tenne nell’anno del Grande Giubileo; segnò il passaggio al Terzo Millennio; si celebrò a Roma, sede di Pietro e capitale della cristianità. Da non trascurare nemmeno i numeri: furono due milioni e mezzo i pellegrini giunti a incontrare il Santo Padre nella veglia conclusiva a Tor Vergata. Non si trattò del record assoluto di partecipanti per una GMG (il primato imbattuto spetta a Manila 1995, con 5 milioni di pellegrini) ma fu comunque una cifra oltre le più rosee aspettative.
C’è però una ragione meno formale e non puramente simbolica che rese quell’evento particolarmente indimenticabile: durante la veglia conclusiva la sera del 19 agosto, nella spianata dove oggi sorge campus universitario di Tor Vergata, San Giovanni Paolo II pronunciò uno dei suoi discorsi più ispirati e carichi di significato, in grado di colpire l’immaginario di almeno tre generazioni di cattolici. In quelle parole, c’è tutto il Wojtyla-pensiero ma anche molto di più. I due milioni e mezzo di giovani, giunti a Tor Vergata in tarda mattinata, tra canti, rosari e catechesi, aspettarono per lunghe ore il Vicario di Cristo sotto il sole cocente di un torrido agosto romano, con una temperatura che arrivò a sfiorare i 40°C all’ombra. Un’attesa ripagata mille volte tanto.
Un papa ottantenne, stanco, malato, eppure felice di poter incontrare la sua gioventù, celebrò il passaggio di consegne tra una generazione e un’altra, raccontando quello che era stato il suo secolo, gli errori da non ripetere più e ribadendo la certezza che il cammino lungo i sentieri del nuovo millennio non poteva che compiersi al fianco dell’Amico che non tradisce mai: “In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”. Parole che si commentano da sole, in grado di mettere in crisi anche il più incallito degli scettici, di infondere fiducia anche nel cuore dei più disperati. Parole con cui, saggiamente, il Papa non metteva Cristo in contrapposizione con il vissuto dei giovani ma parlava al loro cuore, spianandovi dolcemente la strada al Figlio dell’Uomo.
In quella stessa occasione, il Pontefice mise in guardia i giovani dagli errori e dagli orrori commessi nel “secolo che muore”, lasciando intendere quanto sarebbe stato rischioso dimenticarli. “Giovani come voi – ricordò Giovanni Paolo II – venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni”. Con il senno del poi, le parole di Wojtyla appaiono in tutto il loro sguardo profetico: le ideologie anticristiane, vent’anni dopo quella GMG, sono tutt’altro che sopite, anzi conoscono un inquietante risveglio, sebbene in forme più subdole che in passato. A minacciare i giovani del terzo millennio non sono più il nazismo, il fascismo o il comunismo ma la dittatura del pensiero unico che li vuole tutti uguali e schiavi di un consumismo alienante, cui fanno da contrappunto nuove “armi di distrazione di massa”, come la teoria del gender o l’eugenetica mascherata coscienza ecologica, in grado di oscurare le ingiustizie di sempre: le disuguaglianze sociali, la disoccupazione, la criminalità, la guerra, il traffico di esseri umani, di armi e di stupefacenti.
“Nel nuovo secolo – esortò il Papa – voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti”. Oggi la maggior parte dei ragazzi che, in quella notte romana di mezz’estate, ascoltarono estasiati il pontefice polacco hanno superato i quarant’anni, un’età in cui, normalmente, le scelte definitive per la propria vita sono state già compiute.
Quanti di quei papaboys dell’agosto 2000 sono realmente diventati le “sentinelle del mattino” del nuovo millennio, come il Papa auspicava? Quanti si sono entusiasmati così tanto di Gesù Cristo da “mettere fuoco in tutto il mondo”? Quanti di quei due milioni e mezzo sarebbero oggi disposti a non scendere a compromessi con la loro fede? In quell’anno giubilare, San Giovanni Paolo II volle che fossero ricordati i testimoni della fede del XX secolo. E alla veglia della GMG lanciò il suo monito ai giovani: “Forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì!”. E menzionò le sfide della fedeltà nell’amicizia, nel matrimonio, nel sacerdozio, nello sforzo per la pace.
A distanza di vent’anni, quelle parole così lungimiranti del santo papa polacco, andrebbero riscoperte, rivalutate e, soprattutto, trasmesse alle nuove generazioni. Sarà l’occasione per una verifica sulla credibilità dello status di cristiani, nel segno di un’adesione veramente libera ed entusiasta al Vangelo. Anche in quell’occasione, Wojtyla ripeté la sua esortazione più nota: “Non abbiate paura di affidarvi a Lui. Egli vi guiderà, vi darà la forza di seguirlo ogni giorno e in ogni situazione”. Saremo in grado di camminare ancora dietro a Cristo, dopo aver riconosciuto in Lui il vero volto di tutto il buono e il bello che sentiamo e vediamo dentro o fuori di noi? O, al contrario, ne abbiamo avuto improvvisamente paura?