I cattolici e la “piazza”: un rapporto complesso

Manifestazioni a Parigi contro la riforma delle pensioni (marzo 2023)
Photo: Il Sole 24 Ore - YouTube

People have the power”, proclamava una canzone di qualche anno fa. Nulla di più vero. Anche in un’epoca caratterizzata da masse piuttosto “quiete”, la gente comune è in grado di organizzarsi, scendere in piazza e neutralizzare l’azione dei potenti. È accaduto in Israele, dove, con centinaia di migliaia di manifestanti ogni giorno, il premier Benjamin Netanyahu è stato costretto a congelare la sua riforma sulla giustizia, che andrebbe a porre la Corte Suprema sotto il controllo del potere esecutivo.

Qualcosa di simile potrebbe accadere anche in Francia, con massicce proteste (generalmente pacifiche ma alcune anche aggressive) contro la riforma voluta dal presidente Emmanuel Macron, che eleva l’età pensionabile da 62 a 64 anni. In particolare, ciò che non viene perdonato al governo transalpino è l’aver passato la legge senza passare per il parlamento. Parigi e altre città sono piombate in un clima di guerra civile tale da costringere le autorità ad azioni drastiche come la chiusura del Louvre e, addirittura, la cancellazione della visita del re d’Inghilterra Carlo III.

Indipendentemente dalla bontà o meno delle rivendicazioni dei manifestanti israeliani e francesi, rimane una certezza: se un popolo reagisce alle ingiustizie, qualche volta i risultati si ottengono. Il potere terreno non è mai invincibile, a volte cambia volto e forma, così come cambiano gli uomini che lo rappresentano. La gente comune non sempre riesce a sovvertire l’oppressione ma può orientare le scelte di chi comanda. In alcuni casi, però, i potenti vengono umiliati e sono destinati a cadere rovinosamente.

La Chiesa Cattolica è sempre chiamata in causa in questi stravolgimenti, sebbene nel corso della storia non ha sempre sposato la causa dei rivoltosi: così è stato con la Rivoluzione Francese e con la Rivoluzione Russa, in quanto entrambe si ponevano contro lo spirito della tradizione e contro la religiosità popolare. Quando il potere si è espresso contro questi principi, i cattolici sono scesi in piazza, a volte anche imbracciando le armi: è accaduto in Francia con la Vandea, in Italia durante l’occupazione napoleonica con le insorgenze. È capitato nel secolo scorso con i cristeros messicani, poi, in maniera pacifica, con Solidarnosc in Polonia.

La coscienza cristiana rettamente formata non disdegna affatto la protesta e la contestazione del potere. Lo stesso San Tommaso d’Aquino, sette secoli e mezzo fa aveva teorizzato la liceità, in casi estremi, del tirannicidio. Ci sono però alcune puntualizzazioni da fare. Innanzitutto, quando un cristiano scende in piazza non lo fa mai in nome della fede, né per imporre alcuna “civiltà cristiana”; lo fa, piuttosto, per un discorso di giustizia sociale trasversale a qualunque appartenenza religiosa. Anche quando, negli ultimi dieci anni, molti cattolici italiani hanno partecipato ai Family Day, alle proteste contro il ddl Zan o alla Marcia per la Vita, lo hanno sempre fatto per il bene comune e a difesa di valori totalmente laici e aconfessionali.

Seconda puntualizzazione: nessun cristiano o cattolico potrà mai permettersi di identificarsi integralisticamente con i principi a cui aderisce. Se si scende in piazza, ad esempio, a difesa della famiglia naturale (quindi contro l’ideologia gender), non bisogna pensare – come alcuni grossolanamente fanno – che la propria identità cristiana si esaurisca in quell’azione.

Ultimo ma non ultimo: tutti sono utili e nessuno è indispensabile. Ancora più importante: uniti si vince. Portare avanti delle “buone cause”, magari anche vincerle e, al contempo, “restare umili”, è la più grande vittoria che si possa conseguire. Elogiare il contributo dei propri compagni di battaglia e minimizzare il proprio (piccolo o grande che sia) apporto è la via maestra. L’omologazione e l’uniformizzazione sono sempre deleterie, mentre, al contrario, la valorizzazione delle individualità paga sempre. Gli obiettivi comuni, tuttavia, sono sempre la cosa più importante. Non si combatte contro chi abbiamo davanti ma in difesa di chi abbiamo alle nostre spalle: le nostre famiglie, le nostre comunità, i nostri valori. Ricordiamolo tutti, nel momento in cui – forse molto presto – torneremo in piazza.