Il celibato sacerdotale? Non è un dogma, tuttavia…

Sacerdote legge Bibbia in pubblico
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Aveva stupito e aveva fatto discutere nuovamente. L’ultima “apertura” di papa Francesco è stata però una falsa partenza, una sorta di “due passi avanti e uno indietro”. Come spesso è avvenuto in questi dieci anni di pontificato, nei giorni scorsi Bergoglio ha detto una cosa solo apparentemente rivoluzionaria: il celibato non è un dogma ma una “prescrizione temporanea”, che un domani potrebbe anche essere messa in soffitta. Ha rappresentato una rottura, di certo, il fatto che a pronunciare questa “ovvietà” sia stato proprio il Papa e non un qualunque teologo o vescovo.

Oltretutto, nella sua intervista ai media argentini La Nación e Infobae, Francesco era apparso quasi assertivo e, com’è spesso nel suo stile, piuttosto tagliente, specie quando aveva detto che “a volte il celibato può portarti al maschilismo” e che “a un prete che non sa lavorare con le donne manca qualcosa, non è maturo”. Com’è già avvenuto in molte altre occasioni, il Papa ha parlato nell’informalità, più con l’intenzione – come lui stesso usa dire – di “avviare dei processi”, delle discussioni franche e aperte, che non di mirare a un obiettivo finale. Anche in questa circostanza, Bergoglio ha parlato più da sacerdote e da cattolico comune che non da Pontefice.

Al contrario, nella successiva intervista, rilasciata a un’altra testata argentina, Perfil, Francesco ha parlato soprattutto da Papa: “Non sono ancora pronto a rivederlo, ma ovviamente è una questione di disciplina, che oggi c’è e domani può non esserci, e non ha niente a che vedere con il dogma”. Al di fuori di queste considerazioni, indubbiamente importanti, nonché suscettibili di discussioni approfondite, è lecito domandarsi: perché il Santo Padre solleva questo tema così delicato? In primo luogo, per una ragione di realismo: le vocazioni sacerdotali sono in crisi in molte aree del mondo e bisogna valutare soluzioni per uscirne, se necessario persino terapie d’urto.

Non è da escludere che al cuore delle preoccupazioni di Bergoglio vi sia anche la piaga degli abusi sessuali, provocati da tante situazioni personali irrisolte, che hanno spinto tanti giovani ad abbracciare il sacerdozio (quindi il celibato) senza troppa convinzione e con una buona dose di rimpianti per lo stato laicale lasciato alle spalle. Un altro fattore da non trascurare, comunque, potrebbe essere quello ecumenico: le chiese protestanti e – in misura minore e diversa – quelle ortodosse hanno superato in tutto o in parte il celibato sacerdotale, quindi, in una prospettiva di unità molto di lungo termine, si renderà necessario stabilire regole valide per tutti, sia pure sempre nel rispetto di ogni tradizione. Ultimo ma non ultimo: tra le spinte scismatiche della Chiesa tedesca, c’è anche la messa in discussione del celibato sacerdotale, pertanto, è probabile che da Roma si stiano valutando soluzioni “distensive” nei confronti dei ribelli mitteleuropei.

Ciò detto, finanche se si dovesse superarlo sul piano canonico, il celibato sacerdotale andrebbe a perdere valore, forza e significato? La risposta è pacificamente negativa. A difesa di questo principio, corre in soccorso lo stesso papa Francesco che, appena un anno fa, inaugurando un simposio di teologia, aveva affermato: “Mi spingo a dire che lì dove funziona la fraternità sacerdotale, la vicinanza fra i preti, ci sono legami di vera amicizia, lì è anche possibile vivere con più serenità anche la scelta celibataria – disse Bergoglio, in quell’occasione –. Il celibato è un dono che la Chiesa latina custodisce, ma è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e di vero bene che trovano la loro radice in Cristo. Senza amici e senza preghiera il celibato può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio”.

Sulla preziosità del celibato hanno riflettuto anche i due immediati predecessori di Francesco, i cui principi magisteriali non possono affatto dirsi superati. Nel 2010, Benedetto XVI lo definì “un grande segno della fede, della presenza di Dio nel mondo”. Vivere con gioia il celibato sacerdotale, secondo Joseph Ratzinger significava “lasciarsi prendere in mano da Dio”, tributandogli un “atto di fedeltà e di fiducia”, nella tensione “verso il mondo della risurrezione, verso la novità di Cristo, verso la nuova e vera vita”.

Da parte sua, nel 1993, San Giovanni Paolo II offrì una visione molto realistica e, al contempo, molto alta. Se è vero che “Gesù non ha promulgato una legge, ma proposto un ideale del celibato, per il nuovo sacerdozio che istituiva” e che, ai primordi, il ministero sacerdotale era esercitato per lo più da uomini sposati, il celibato stesso si è affermato nella Chiesa, rendendola più forte e solida per una ragione fondamentale: lungi dall’essere un mero principio morale o giuridico – rifletteva il papa polacco – il celibato costituiva “la maturazione di una coscienza ecclesiale”, in quanto, a poco a poco, era stata scoperta una “congruenza” tra “il celibato e le esigenze del sacerdozio”.

Alla luce di tutte queste considerazioni, anche se un giorno – per sopperire alla crisi delle vocazioni o per altri motivi – si dovesse accantonare la regola del celibato per i sacerdoti, nulla potrà mai scalfire il principio che lo anima. Se da un lato sono indubbiamente pochi coloro che sono chiamati a questo tipo di vita, è altrettanto vero che chi la abbraccia, compie una radicale scelta di supremo amore e di primazia nei confronti del buon pastore Gesù Cristo che, da celibe, si dona totalmente e senza risparmio per le pecore del suo gregge.