Sono anni che si dibatte sull’arretramento della Chiesa riguardo ai principi non negoziabili. Non c’è alcun dubbio che otto anni di pontificato di papa Francesco abbiano impresso un’evoluzione a tale concetto, senza però – è doveroso precisarlo – snaturarne o ridimensionarne l’essenza. A questo proposito, sarà utile comprendere, in particolare quanto avvenuto recentemente nella Chiesa italiana sulla questione omosessuale.
A questo proposito, va ricordato che, un anno fa, la Conferenza Episcopale Italiana aveva nettamente preso le distanze dal ddl Zan sull’omotransofobia. Se è vero che le violenze contro la dignità umana – “trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking” – costituiscono “forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini”, i vescovi avevano ricordato che “esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”. Quindi, affermava la nota della CEI, “non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni”. I presuli concludevano riconoscendo la natura liberticida del ddl, destinato a limitare “di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso”.
Alla luce di queste parole, è stato interpretato come un parziale cedimento quanto affermato dal presidente della CEI tra domenica e lunedì. Il cardinale Gualtiero Bassetti aveva prima dichiarato che il ddl Zan andava “più corretto che affossato”. Pur mantenendo la convinzione che “non ci fosse bisogno di questo disegno di legge”, il porporato ha mostrato una cauta apertura: “se si ritiene utile una legge specifica contro l’omofobia, va bene”. Per come si presenta ora, però, “è un testo che si presta a essere interpretato in varie maniere e può sfociare in altre tematiche che nulla hanno a che vedere con l’omofobia, gli insulti o le violenze”.
Secondo Bassetti, una legge del genere dovrebbe essere “chiara e non prestarsi a sottintesi”, cosa che, evidentemente, non avviene con l’attuale formulazione. Non è accettabile, cioè, che “si sconfini in altri campi, in terreni pericolosi, come la cosiddetta identità di genere” o che non si tutelino “le garanzie e i valori fondamentali”, a partire dall’assunto per cui “la distinzione fra uomo e donna esiste”.
Perché questo distinguo? La Chiesa può dare il beneplacito ad una legge che non la rappresenta o, peggio ancora, contraria ai suoi principi? Per quale motivo, se un anno fa la contrapposizione era frontale, adesso si registra questa apertura, sia pure tutt’altro che entusiastica? Se si va ad analizzare il ddl nella sua totalità, è evidente che gli unici articoli che un cattolico potrebbe condividere sono (forse) quelli relativi alla tutela dalle aggressioni e dalle discriminazioni. Tutto il resto è tutta un’ambigua e pericolosa propaganda.
Prima ancora di lanciarci in interpretazioni sulla reale strategia della CEI, è opportuno essere chiari su un punto: quando la Chiesa non riesce a manifestare la propria reale posizione su determinati temi, vuol dire che i suoi massimi rappresentanti si ritrovano a dover trattare da una posizione di debolezza. Attualmente, nel braccio di ferro tra Chiesa e istituzioni secolari, il bilancino pende decisamente dalla parte delle seconde. Sono le lobby lgbt ad avere il coltello dalla parte del manico. La Chiesa italiana, ogni giorno, deve trattare con lo Stato e con le istituzioni laiche su un’ampia gamma di tematiche. Non è una novità. L’intreccio di vincoli giuridici, economici e strategici con cui i due soggetti quotidianamente hanno a che fare è una fitta trama fitta di do ut des. Si va dal valore patrimoniale dei beni ecclesiastici all’insegnamento della religione cattolica, fino all’8 per mille, passando per gli attuali protocolli anti-Covid. È vero, susciteranno molto più entusiasmo la potenza del Vangelo e i precetti del Signore che “fanno gioire il cuore” (Sal 18), che non le pubbliche relazioni con i soggetti laici di cui sopra o i relativi compromessi al rialzo o al ribasso che siano.
Sia chiaro: quando parliamo di debolezza della Chiesa italiana, non stiamo dando un giudizio sulle virtù o i vizi dei suoi massimi rappresentanti. È soltanto una constatazione oggettiva del quadro storico attuale, che prescinde dal livello di santità dei singoli. Prima ancora di schierarci a difendere per partito preso il cardinale Bassetti e tutto l’episcopato italiano o, al contrario, di impallinarli senza pietà, ricordiamoci che le poco esaltanti situazioni in cui versa l’intero corpo ecclesiale nazionale (dal primo dei vescovi all’ultimo dei laici) sono la necessaria risultante di una condizione di minoranza nel Paese. Tutte le minoranze cristiane sono sempre state sottoposte a piccole o grandi umiliazioni. Un tempo, in Italia, il cristianesimo non solo rappresentava la maggioranza della popolazione ma ne permeava profondamente il tessuto sociale, la cultura e la mentalità. Oggi, al contrario, i cristiani sono una minoranza. Sta ad ognuno di noi contribuire ad essere una “minoranza creativa”, come suggeriva papa Benedetto XVI alcuni anni fa. Sarà una bella sfida ma, soprattutto, è una grazia di Dio.