Il gossip: una brezza leggera che può diventare un uragano assassino

Foto di Barbora Franzová da Pixabay

C’è un aneddoto molto illuminante della vita di San Filippo Neri, che ha il sapore di una parabola evangelica. A una donna, nota nel suo quartiere per i pettegolezzi e le maldicenze che seminava, il santo propose una singolarissima penitenza: portargli da casa una delle sue galline, spennandola in modo meticoloso lungo il cammino, di modo che al pollo non rimanesse attaccata nemmeno una piuma. Rimasta esterrefatta, la linguacciuta signora, eseguì quanto chiestole ma pensò, in cuor suo, che padre Filippo fosse completamente impazzito. Dopo che fu tornata dal sacerdote, alla donna fu assegnata la seconda parte della penitenza: “Ritornerai sui tuoi passi – le disse San Filippo – rifarai la via di casa tua senza cambiare strada, raccoglierai tutte le penne dalla prima all’ultima, le metterai insieme e me le porterai qui”. La donna si disperò profondamente, rendendosi conto che l’impresa era impossibile: “Io sono dannata, come farò?”. Allora San Filippo rincarò la dose: “Se non puoi raccogliere le penne di una gallinella, come raccoglierai le maldicenze che fanno male a tanta gente, tanto più che le maldicenze che tu dici, le altre persone le portano lontano lontano, dove tu non pensi?”. Poi, viste sgorgare le lacrime sul viso della penitente, il santo placò la sua severità e le disse: “Va bene: per questa volta ti darò l’assoluzione, ma spero che avrai ben capito”.

Quest’episodio di oltre quattro secoli fa, in bilico tra realtà e leggenda, ci spinge a riflettere su un vezzo che, rispetto ai tempi di San Filippo Neri, non è mai passato di moda. Al contrario, oggi, il gossip è più che mai di moda. Il bombardamento della comunicazione, dalla stampa scandalistica alle futilità espresse attraverso i profili social, rappresenta uno stimolo micidiale a scambiare informazioni sugli altri in modo quasi compulsivo. Facciamoci caso: quando si parla di qualcuno che è assente, sia esso un parente, un amico, un conoscente o un vip, nel 90% dei casi, il giudizio su questa persona è malevolo. Le stesse persone riempite di lusinghe e di complimenti melliflui, spesso e volentieri sono le stesse cui, alle spalle, vengono riservati commenti al vetriolo e battute taglienti. Dai difetti fisici a quelli temperamentali, non c’è caratteristica negativa vera o presunta che non passi allo screening del pettegolo di professione. Per alcuni il gossip è una vera e propria droga, è come una spezia, in assenza della quale il cibo quotidiano appare scialbo e insapore. C’è chi sparla degli altri per pura invidia (come avviene nelle false amicizie), chi per competizione (come avviene spesso sul lavoro). Nei luoghi di potere, in particolare nel mondo della politica, della finanza e dello spettacolo, il gossip può diventare un’arma letale per distruggere la reputazione e la carriera altrui. Durante le campagne elettorali, c’è chi viene pagato per costruire falsi dossier ai danni dei propri sfidanti.

Vale la pena ricordare tre illustri vittime del gossip negli ultimi quarant’anni: Enzo Tortora (1928-1988), Gigi Sabani (1952-1997) e Mia Martini (1947-1995). I due presentatori televisivi finirono sotto processo, rispettivamente per traffico di droga e sfruttamento della prostituzione: il primo fu condannato in primo grado e assolto in appello, il secondo fu scagionato ma scontò tredici giorni di domiciliari. Sia Tortora che Sabani furono entrambi riconosciuti innocenti sia dai tribunali che dall’opinione pubblica, ma le calunnie subite ferirono così indelebilmente la loro sensibilità che essi stessi somatizzarono, fino a morirne prematuramente. Ancor più desolante il caso di Mia Martini, una splendida carriera rovinata dall’assurda nomea di iettatrice. Profondamente segnata da questo marchio di infamia, la cantante calabrese fu emarginata dal jet set e trascorse gli ultimi dodici anni della sua vita in preda alla depressione e agli psicofarmaci, fino alla tragica scomparsa per overdose.

Il gossip può sembrare un passatempo innocente ma, come si è visto, le conseguenze possono essere anche tragiche. Questa brutta abitudine sorge sempre come una fresca e piacevole brezza ma può degenerare in poco tempo in un devastante uragano. “Le chiacchiere uccidono”, ripete con incredibile frequenza papa Francesco, quando paragona i pettegolezzi alle bombe dei terroristi. È significativo che il Santo Padre riproponga queste raccomandazioni in particolare durante le sue visite nelle parrocchie romane. Purtroppo, le comunità cristiane non sono esenti dalla deprecabile abitudine della maldicenza. A volte si inizia con un’intenzione buona: il tale parrocchiano ha dei limiti caratteriali ma non si ha il coraggio di affrontarlo con delicatezza per un’adeguata correzione fraterna. Allora ci si lamenterà di lui con altri fedeli e con il parroco e, a poco a poco, il malcapitato, a torto o a ragione, si farà fatto una brutta nomea. Molto più degli scandali sessuali e finanziari ad alto livello (che magari contribuiscono a tenere lontano dalla Chiesa chi già lo è), per far disamorare qualcuno della Chiesa, basta diventare vittime, o anche solo spettatori, di un “banale” gossip parrocchiale.

Le Scritture sono molto chiare a riguardo: “Allontanate da voi ogni forma di male. Basta con gli imbrogli e le ipocrisie, con l’invidia e la maldicenza!”, scrive San Pietro (1Pt 2,1). Al tempo stesso, però, Gesù esorta a non temere la calunnia subita, specie se in ragione della fede cristiana: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi” (Mt 5,11-12).

Il “mordersi la lingua” dinnanzi alla tentazione dei giudizi temerari comunque non è una virtù esclusivamente cristiana. Vale la pena citare l’aneddoto che racconta di Socrate raggiunto a casa da un discepolo, che, con fare allarmato e impaurito, lo informa di un amico che, a suo dire, avrebbe parlato male di lui. Il maestro allora gli replica, accennandogli alle “tre sfere del saggio”. La prima è la sfera della verità. “Sei sicuro che è vero?”, domanda Socrate al giovane amico. E lui nega. La seconda sfera è quella della bontà e della bellezza. “Ciò che hai scoperto e che mi vuoi riferire è qualcosa di buono? È qualcosa di bello?”, chiede Socrate all’allievo. “No, anzi, è proprio il contrario”, gli risponde quello. La terza sfera è quella della necessità e dei benefici. “È necessario sapere tutto ciò che quella ha persona ha detto di me?”, chiede Socrate. E il discepolo nega nuovamente. “Se quello che mi vuoi dire non è né la Pura Verità, né qualcosa di buono e bello e non mi è assolutamente necessario, visto che non mi porta alcun beneficio, meglio che rinunci a dirmi alcunché a riguardo”, gli replica Socrate, aggiungendo: “Sappi che sono molto più felice di parlare di qualcosa di bello o di buono, o delle delizie dell’amore”.