Siamo ormai abituati da quasi nove anni. I discorsi di papa Francesco sono fondamentalmente di tre tipi: quelli ai quali la stampa offre grandissimo risalto nella loro interezza; quelli di cui la stampa seleziona i passaggi più graditi al mainstream; quelli sostanzialmente ignorati. Nell’ultima categoria rientrano di solito i discorsi di maggiore spessore, destinati, per ciò stesso, a non essere compresi o, peggio ancora, ad essere volutamente messi sottotraccia.
Così è stato lunedì scorso, in occasione del tradizionale incontro di inizio anno con i membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Un discorso significativo, quello di Bergoglio, che probabilmente segna un prudente cambio di passo su alcune tematiche cruciali di questi mesi. Sulla campagna vaccinale, il Santo Padre non si può dire abbia cambiato idea, continuando a incoraggiarne l’estensione in tutto il mondo. Il Pontefice considera evidentemente le posizioni scettiche sui vaccini come una “affermazione ideologica”, laddove la pandemia ci imporrebbe una “cura di realtà”. Al tempo stesso, però, ha ritenuto che i vaccini non siano “strumenti magici di guarigione”, pur rappresentando “la soluzione più ragionevole”, specie se affiancati alle “cure che vanno sviluppate”.
La parte più interessante dell’analisi del Papa, tuttavia, ha riguardato la “colonizzazione ideologica”, uno dei cavalli di battaglia del magistero bergogliano, stavolta, però, inquadrata in una prospettiva più completa e globale. “Il deficit di efficacia di molte organizzazioni internazionali – ha detto – è anche dovuto alla diversa visione, tra i vari membri, degli scopi che esse si dovrebbero prefiggere”. Chiara è l’allusione a quei soggetti di diritto internazionale preposti al perseguimento della giustizia sociale e della pace, che, col tempo, hanno deragliato verso scopi ideologici. Questi organismi, ha denunciato Francesco, sono orientati da “agende sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell’umanità e le radici culturali che costituiscono l’identità di molti popoli”. Da qui il j’accuse del Santo Padre contro la cancel culture, che, in nome della “protezione delle diversità”, finisce per “cancellare il senso di ogni identità”. Un “pensiero unico pericoloso” che pretende di “rinnegare la storia o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee”. Evidentissima la presa di distanze da quei gruppi sedicenti antirazzisti, che, soprattutto in America hanno preso l’abitudine di abbattere statue come quelle di Colombo o di Lincoln. Movimenti, come avevamo già sottolineato un anno e mezzo fa, profondamente anticristiani.
“La diplomazia multilaterale – ha proseguito il Papa – è chiamata perciò ad essere veramente inclusiva, non cancellando ma valorizzando le diversità e le sensibilità storiche che contraddistinguono i vari popoli”. Un obiettivo raggiungibile soltanto se sussiste “fiducia reciproca e disponibilità a dialogare”. È come se Francesco, avviandosi ormai alla fase conclusiva di un pontificato segnato dall’abbattimento dei muri e dalla costruzione di ponti verso mondi molto lontani dalla cultura e dalla sensibilità cristiane, dopo nove anni di mani tese ai tradizionali avversari della Chiesa, stia iniziando, in qualche modo, a sollecitare un minimo di reciprocità.
Secondo la dottrina sociale della Chiesa, il bene comune non ha connotazioni confessionali, non è “cristiano”, né “cattolico”: è semplicemente umano. Il dialogo in cui il Pontefice continua a credere non è una ricerca del compromesso al ribasso, di un do ut des, di una trattativa per la definizione di delicati e fragili equilibri. Non si dialoga per rinunciare a qualcosa di se stessi, in cambio di qualcos’altro che non ci appartiene ma per scoprire insieme la via maestra verso la Verità, bene di ogni uomo. Tanto è vero che il Papa ha ricordato che, proprio grazie al dialogo, è possibile individuare “alcuni valori permanenti” che vanno “al di là di ogni consenso”: tra questi ha voluto menzionare esplicitamente “il diritto alla vita, dal concepimento sino alla fine naturale, e il diritto alla libertà religiosa”. Con le organizzazioni internazionali e i think tank di ispirazione laica, Bergoglio è sempre stato in sintonia su istanze come le migrazioni e il cambiamento climatico. Sul fronte del diritto alla vita o dei principi non negoziabili, però, ha sempre riscontrato un silenzio assordante, che ora, giocoforza, sembrerebbe aver deciso di rompere.