Il viaggio di papa Francesco in Kazakhstan, conclusosi giovedì scorso, va valutato in primo luogo alla luce dei cambiamenti drammatici che stiamo vivendo. C’è un conflitto in corso da quasi sette mesi in Ucraina, mentre ulteriori venti di guerra iniziano a soffiare in Caucaso. In un momento spartiacque per i destini del mondo, è risuonato l’ennesimo appello alla pace del Santo Padre.
La visita pastorale ufficiale nel Paese centroasiatico – comprensiva degli incontri protocollari con i leader ecclesiastici e politici locali – si è innestata nell’occasione del Congresso dei Capi religiosi, in una terra dove all’ateismo di Stato di ieri, è seguita una stagione di pluralismo culturale e di dialogo.
I messaggi lanciati da Bergoglio a Nur-Sultan sono perfettamente in linea con tutto il suo pontificato, in modo particolare, con l’enciclica Fratelli tutti, e si possono sintetizzare nei seguenti punti: 1) nessuna religione è mai un ostacolo alla libertà e allo sviluppo dei popoli, pertanto, la libertà religiosa è un principio sacrosanto; 2) per converso, nessuno è autorizzato a strumentalizzare la propria o l’altrui religione a fini violenti o bellici; 3) le religioni sono, al contrario, strumenti privilegiati per la coesistenza pacifica tra i popoli.
In Kazakhstan, il Papa ha incontrato vari imam e vescovi ortodossi. È spiccata, tra questi ultimi, l’assenza del Patriarca di Mosca, Kirill, più volte apertamente criticato dal Vaticano per il suo appoggio all’intervento militare russo in Ucraina. Al momento, un nuovo incontro tra i due, dopo quello a Cuba del 2016, appare sempre più difficile, sebbene la Santa Sede rimanga, nello scacchiere internazionale, l’unico soggetto realmente credibile ai fini di un disgelo tra Russia e Occidente.
Negli stessi giorni del Congresso dei capi religiosi, a Samarcanda, nel vicino Uzbekistan, si sono incontrati il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo cinese Xi Jinping. Il Vaticano ha avviato da alcuni anni una fase distensiva con Pechino, che ha portato, nel 2018, a uno storico accordo sulla nomina dei vescovi cattolici. Nonostante, la distensione non abbia ancora avuto effetti positivi sulla libertà religiosa in Cina, il Papa, all’inizio del viaggio, ha confermato la sua disponibilità nei confronti di Pechino.
Pur smentendo la possibilità di un incontro a sorpresa con Xi in Kazakhstan, Francesco si è detto “sempre pronto ad andare in Cina”. Durante il viaggio di ritorno, poi, ha ammonito a non bollare la Cina come “antidemocratica”, essendo difficile comprendere la mentalità dominante in questo Paese. Facendogli eco, la portavoce del Ministero degli Esteri cinese Mao Ning ha dichiarato: “Prendiamo atto e apprezziamo l’amicizia e la buona volontà trasmesse dal Pontefice”.
La Cina e, in misura molto minore, la Russia sono Paesi ancora indietro sul fronte della libertà religiosa. Essendo ancora solido, tuttavia, il ruolo di mediatore della Santa Sede, sarà particolarmente interessante vedere come la diplomazia vaticana si porrà nei prossimi mesi nei confronti dell’alleanza strategica cino-russa.
Nel frattempo, in una fase di arretramento dell’esercito russo da Kharkiv, Zaporizhzhya e altre roccaforti ucraine conquistate nei mesi scorsi, l’ostilità degli USA e dell’Europa occidentale sembra acutizzarsi ulteriormente. Il presidente americano Joe Biden ha promesso sanzioni anche nei confronti della Cina, mentre la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen auspica un mantenimento delle sanzioni anti-russe per far fallire i piani di Putin.
Al tempo stesso, la recente storica affermazione della destra in Svezia non dovrebbe cambiare i piani di Stoccolma rispetto all’adesione alla NATO. Il premier svedese in pectore Jimmie Akesson, dichiaratosi inizialmente equidistante tra Washington e Mosca, ha poi corretto il tiro definendo la Russia una “dittatura su vasta scala” che sta perpetrando “crimini contro il diritto internazionale”.
In questo scenario così poco rassicurante, fino a quando Francesco (ormai palesemente debilitato nel fisico ed entrato ormai nella fase declinante del suo pontificato) riuscirà a portare avanti da solo il ruolo di peacekeeper mondiale? La dichiarazione firmata dai capi religiosi a Nur-Sultan “esorta i leader mondiali ad arrestare ovunque conflitti e spargimenti di sangue, e ad abbandonare retoriche aggressive e distruttive. Vi preghiamo – ha detto il Papa durante l’incontro finale – in nome di Dio e per il bene dell’umanità: impegnatevi per la pace, non per gli armamenti! Solo servendo la pace il vostro nome rimarrà grande nella storia”.
Le parole del Santo Padre nel contesto dell’incontro interreligioso in Kazakhstan rischiano di rimanere una vox clamans in deserto. Al tempo stesso, però, ci destano l’attenzione su una realtà troppo spesso dimenticata: più si estromette Dio dall’umanità, più la guerra e la discordia tra i popoli avanzano. A ricordarcelo è anche un impressionante numero di messaggi della Madonna a Medjugorje, che si susseguono da ormai quarantun anni: non può essere affatto una coincidenza…