La crudele fine di un medico buono, onesto e cristiano

Giuseppe De Donno
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Davvero non volevamo crederci. Martedì scorso, improvvisamente e tragicamente, se n’è andato un italiano onesto, schivo, che ha fatto un bene immenso durante la pandemia, senza rivendicare nulla in cambio. Durante i primi mesi di Covid-19 – probabilmente i più drammatici – il nome di Giuseppe De Donno era balzato agli onori delle cronache al pari di tanti altri medici e virologi, diventati in breve volti familiari nell’intero Paese. De Donno, però, non amava apparire, né lanciarsi nelle roventi polemiche a sfondo scientifico alle quali ci siamo abituati nell’ultimo anno e mezzo. Quando, però, vedeva incrinarsi negli altri l’onestà intellettuale, non le mandava a dire.

De Donno era uno di quei cattolici del Nord di poche parole, abituati a esercitare la carità con i fatti e a non vantarsene troppo. Eppure, ha fatto tanto, tantissimo. I 58 guariti dal Covid – tutti transitati per la terapia intensiva, dopo essere stati a un passo dalla morte – grazie alla cura al plasma iperimmune, sperimentata dallo stesso professor De Donno, parlano da soli. Tantissimi altri pazienti avrebbero potuto essere salvati, se non fosse intervenuto lo stop del Ministero della Sanità a tutte le cure sperimentali. Il nome di De Donno si era quindi eclissato dalle cronache per quasi un anno.

All’inizio dello scorso mese, poi, De Donno aveva lasciato l’incarico di primario di pneumologia all’ospedale “Carlo Poma” di Mantova, dove l’anno scorso aveva raccolto i suoi straordinari risultati. Era quindi tornato a fare il medico di base, quasi adempiendo a quella che lui stesso descriveva come una sorta di vocazione: “La terapia con il plasma costa poco, funziona benissimo non fa miliardari – aveva dichiarato lo pneumologo mantovano al quotidiano La Verità –. E io sono un medico di campagna, non un azionista di Big Pharma”. Parole che gettano una luce sinistra sul tragico epilogo della vita di De Donno, trovato morto martedì pomeriggio nella sua abitazione a Curtatone (MN).

Le cronache ufficiali parlano di suicidio per impiccagione ma la vicenda è risultata subito poco chiara, suscitando dolore e indignazione tra i pazienti di De Donno e tra i suoi tanti estimatori. Il giorno dopo la morte, la Procura di Mantova ha aperto un’inchiesta per valutare eventuali responsabilità di terzi. Era noto che, negli ultimi tempi, lo pneumologo fosse particolarmente provato psicologicamente per il non accoglimento della sua terapia sperimentale. Com’è morto davvero Giuseppe De Donno e perché il suo nome era così scomodo per l’establishment sanitario? La cura al plasma iperimmune avrebbe effettivamente rappresentato una spina nel fianco per la medicina protocollare: essendo il plasma ricavato da pazienti guariti dal Covid, il metodo era totalmente gratuito. Al contrario delle cure per anticorpi monoclonali, finalmente sdoganate dall’Unione Europea, dove dovrebbero essere disponibili da ottobre ma al “modico prezzo” di 2000 euro a dose. Singolare coincidenza, la morte di De Donno si sarebbe verificata proprio a ridosso di questa autorizzazione da Bruxelles.

La vita del medico mantovano, nell’ultimo anno e mezzo, era diventata difficilissima. I successi terapeutici li ha pagati a carissimo prezzo. Il 6 maggio 2020, il profilo Facebook di De Donno era stato oscurato: giusto la sera prima, lo pneumologo era stato ospite a Porta a Porta da Bruno Vespa, dando così un risalto incredibile ai risultati delle sue cure. Come se non bastasse, proprio in quei giorni De Donno aveva ricevuto una telefonata dai NAS, che gli avevano chiesto spiegazioni sul suo più clamoroso miracolo: la 28enne incinta guarita dal coronavirus proprio grazie al plasma iperimmune. Erano seguiti mesi di intimidazioni ed haters, accompagnati dalle volgari derisioni di una parte della comunità scientifica e dei soliti VIP.

Temperamento combattivo, De Donno ha grintosamente difeso per mesi la sua cura. Poi, però, è crollato. La pressione psicologica, su un uomo integerrimo, alieno a qualunque compromesso ma di fondo fragile, si è fatta insostenibile. “Dopo quasi un anno dagli eventi che lo avevano coinvolto – ha riferito il suo amico giornalista Massimo Mazzuco – ancora non riusciva a capacitarsi del perché la sua cura non fosse stata promossa e sperimentata in tutto il mondo”. “Io lo so che funziona – avrebbe detto De Donno a Mazzuco – ho visto i pazienti guarire sotto i mei occhi. Eppure, sembra che la cosa non interessi a nessuno”.

Lo pneumologo mantovano era evidentemente persona troppo onesta e disinteressata al punto da non riuscire a capacitarsi del male del mondo e, in particolare, dell’avidità che funesta il settore sanitario. Giuseppe De Donno era un credente e aveva sinceramente a cuore la vita degli altri, cosa niente affatto scontata nemmeno per un medico. “Se dovessi scegliere tra salvare una vita e andare in carcere, non ho dubbi in merito – diceva –. Anche se non dovessi avere l’autorizzazione del comitato etico, per me la vita è sacra. Sono un cattolico praticante e la vita è l’obiettivo della mia professione”. Perché abbia potuto preferire la morte, una persona con questi principi e ideali, rimane un mistero. Le vie del Signore, però, sono infinite e, anche dietro un gesto così disperato si distende la misericordia di Cristo, l’unico che può comprendere fino in fondo la disperazione umana. Ammesso e non concesso che di suicidio si è trattato, affidiamo a Dio, l’anima di quest’uomo coraggioso e sfortunato, nella speranza che il suo sacrificio non sia stato vano e che, sul suo esempio, la scienza al servizio dell’uomo prevalga sempre sulla pseudoscienza antiumana.