Governo Conte: la scommessa di un esecutivo di rottura
La fiducia votata nei giorni scorsi da Senato e Camera all’inedito governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte, ha tutta l’aria dell’inizio di un’uscita da una fittissima nube. Dove prima era nebbia totale, adesso si inizia a intravedere il sole, ma a sprazzi. È bene metterlo in chiaro da subito: l’esecutivo scaturito dopo tre mesi di estenuanti trattative è un’autentica scommessa, in quanto tale piena di rischi e di opportunità, in uno dei passaggi più drammatici nella storia dell’Italia unita.
Le criticità che questo governo presenta sono molte: il sostegno di un partito di maggioranza relativa – il Movimento 5 Stelle – rappresentato in parlamento da appena due legislature e alla prima esperienza di governo; la totale novità del “contratto” Lega-M5S, due formazioni che hanno in comune la lontananza dall’establishment ma con molte e sensibili differenze tra loro; l’altrettanto inedita compresenza di ministri politici e tecnici (rispettivamente due terzi e un terzo), che potrebbe risultare di difficile amalgama; il quinto governo consecutivo, in tre legislature, ad essere guidato da un presidente del Consiglio non scelto, nemmeno indirettamente, dagli elettori (l’elezione diretta del premier – giova ricordarlo – non è formalmente prevista dalla nostra Costituzione).
Il programma economico si presenta assai ambizioso, promettendo misure che potrebbero anche rivelarsi tra loro incompatibili: il reddito di cittadinanza, sia pure a beneficio dei soli disoccupati; la flat tax, con aliquote fisse, controbilanciate da un sistema di deduzioni che dovrebbe garantire la progressività dell’imposta in accordo con i principi costituzionali. Reddito di cittadinanza e flat tax sono due strumenti che, in qualche modo, attualizzano due dottrine economiche antitetiche – il keynesismo e il liberismo – e, ad essere precisi, non sono nemmeno esattamente in linea con la dottrina sociale della Chiesa, sebbene, come si è visto, il presidente del Consiglio li abbia presentati in una versione “ammorbidita”.
Ciò detto, non possiamo non guardare con favore all’attenzione programmatica del governo verso i soggetti più svantaggiati (dai giovani disoccupati, alle donne penalizzate sul lavoro, dal Mezzogiorno, per il quale è stato istituito un ministero ad hoc, fino ai terremotati, che il premier intende visitare alla sua prima uscita pubblica) e all’allentamento delle “misure di austerità”, a vantaggio della “crescita della nostra ricchezza”. Il nuovo capo del governo ha anche messo in discussione l’“assoluta preminenza” dell’economia, in particolare della finanza, sulla politica; un discorso particolarmente interessante, quest’ultimo, tanto più se pronunciato da un premier che, pur avendo un profilo da giurista e non da economista o manager, di certo è alla prima esperienza politica. Particolarmente in linea con il magistero di papa Francesco sono poi la tolleranza zero verso la mafia, verso i “corrotti e corruttori” (per i quali Conte ha proposto il daspo) e verso gli evasori fiscali (per i quali ha promesso il “carcere vero”).