La scuola? Deve tornare “umana”!

Scuola
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Tra due giorni, per la maggior parte degli studenti italiani, prenderà il via l’anno scolastico più difficile degli ultimi settant’anni. Il settore educativo è stato probabilmente quello che, da marzo a giugno, ha più sofferto i disagi legati alla pandemia. Alla paura dei contagi, si sono presto affiancate tutte le incognite della didattica a distanza, un vero e proprio esperimento educativo obbligato, che ha gettato nello scompiglio tutte le persone coinvolte nella quotidianità scolastica: docenti completamente inesperti di nuove tecnologie; studenti che hanno patito la lontananza dai compagni e hanno dovuto adattarsi forzatamente e in tempi brevi alla novità; famiglie spesso non in grado di sostenere i costi per un tablet o un pc adeguato alle videolezioni; madri che hanno dovuto chiedere l’aspettativa dal lavoro, in alcuni casi l’hanno perso, oppure, nella migliore delle ipotesi, hanno cercato, non senza fatica, di conciliare il loro smartworking con la didattica a distanza dei figli.

L’Italia è il paese europeo che è tornato più tardi alla didattica in presenza. E adesso le incognite superano di gran lunga le certezze. Gli ormai celebri banchi a rotelle, nonostante il superappalto di 45 milioni di euro per la fornitura degli stessi, non arriveranno nelle aule prima di ottobre. Le mascherine saranno obbligatorie per gli studenti o i docenti in movimento: si potrà invece farne a meno in classe, da seduti e rispettando il metro di distanza. Avendo il governo promesso la fornitura di 11 milioni di mascherine al giorno per tutte le scuole d’Italia, si porrà il serio problema del loro smaltimento dopo l’uso. Ogni studente avrà l’obbligo di misurarsi la febbre tutte le mattine, prima di giungere a scuola: con 37,5°C si rimane a casa. Questo accorgimento dovrebbe ridurre notevolmente la circolazione non solo del Covid-19 ma di qualunque altro virus influenzale. Se però la febbre o altri sintomi irrompono durante le lezioni, lo studente dovrà essere preventivamente collocato in una sala isolata, per poi essere sottoposto a tampone, dopo che sono stati informati i genitori: se l’alunno risulterà positivo, l’ASL disporrà se porre in quarantena anche i suoi compagni di classi e i loro contatti stretti. Intanto i ritardi organizzativi hanno costretto sette regioni italiane a procrastinare l’inizio dell’anno scolastico: Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Puglia, Calabria, Basilicata, Abruzzo, Calabria.

La pandemia, comunque, non è l’unica emergenza che affligge il sistema scolastico. Il Covid-19, con tutte le complicazioni che comporta, si va ad innestare in un sistema educativo da troppi anni in preda a una profonda crisi d’identità, segnato da una oggettiva incapacità di reagire propositivamente alle sfide esterne. La chiusura di circa un terzo delle scuole paritarie è stata forse scongiurata dall’emendamento al Decreto Rilancio, votato a inizio luglio, che stanzia 300 milioni per la prosecuzione della loro attività didattica: in questo modo è stato (forse) salvato il diritto all’istruzione per parecchie migliaia di studenti italiani, con un notevole risparmio per l’intero sistema educativo nazionale. Rimane in piedi, in compenso, la questione degli insegnanti precari di terza fascia, alcuni in servizio da 15-20 anni, che ancora si vedono preclusa la possibilità di un concorso per titoli e servizi: l’emarginazione di questi docenti dal sistema scolastico è uno dei peggiori scandali di un paese incapace di valorizzare le sue risorse umane.

La crisi della scuola italiana è la cartina di tornasole della crisi morale di un intero paese. Ciò che tradizionalmente è sempre stato un luogo di elevazione umana e culturale, di emancipazione sociale, di formazione e di educazione alla vita, si è trasformato, nel corso degli anni, in un girone infernale, una “guerra tra poveri”, un incubo a occhi aperti, un coacervo di malumori e frustrazioni. Non c’era bisogno che arrivasse l’emergenza Covid, per accorgersi dell’eterogenesi dei fini del nostro sistema scolastico. La pandemia ha solamente accelerato il corso della crisi e ha svelato l’ipocrisia dei tanti che ancora “ballavano sul Titanic” di una scuola ormai sul punto di colare a picco.

Appena sei anni fa, incontrando in Vaticano i rappresentanti del mondo scolastico italiano, papa Francesco aveva indicato nella scuola il luogo privilegiato per l’“apertura alla realtà”, per l’“incontro”, la socializzazione, la conoscenza dell’altro, l’educazione “al vero, al bene e al bello”. Lo scenario attuale, però, mostra una scuola che ha completamente deviato dalla sua missione originaria. L’avvento del neoliberismo, dei principi aziendalistici dell’efficienza (si pensi all’introduzione di figure come il “preside-manager” o, in seguito, del dirigente scolastico), del pragmatismo, della prevalenza della formazione tecno-scientifica su quella umanistica, complici anche i tagli alla pubblica istruzione, hanno abbassato il livello qualitativo generale, fornendo alle nuove generazioni un modello pedagogico utilitarista e riduzionista, che non eleva le menti e raffredda i cuori, fomentando l’individualismo nei giovani. Sempre nel 2014, il Papa ammoniva: “La famiglia e la scuola non vanno mai contrapposte”, in quanto, “sono complementari, e dunque è importante che collaborino, nel rispetto reciproco”. Purtroppo, oggi, avviene l’esatto opposto. Genitori e docenti sono quasi sempre reciprocamente in contrasto, per tanti motivi, riconducibili a due ragioni fondamentali: le famiglie tendono a scaricare tutte le responsabilità educative sulla scuola, la quale, però, essendo diventata ormai un freddo e tecnocratico “nozionificio”, non ha più alcuna credibilità in tema di formazione umana. Al tempo stesso, né la scuola né le famiglie non sono più in grado di trasmettere un senso di responsabilità e di sacrificio ai ragazzi, mentre, in compenso fomentano in loro uno spirito di competizione poco costruttivo.

Da contesto “freddo”, quale è ormai diventato, per risorgere, la scuola dovrà tornare ad essere un luogo di “calore” umano e intellettuale. Un luogo dove non solo ci si accultura ma si scopre la vita. Dove l’insegnante non è un grigio funzionario dello Stato ma un maestro, in grado di prendere per mano i suoi allievi e di imprimere in loro la meraviglia dell’apprendimento. Non un paradiso in terra ma un luogo dove ci si confronta apertamente e, all’occorrenza, ci si scontra ma dove la realtà dei fatti, alla fine, sovrasta tutti ed è l’unica vera vincitrice. A chi non piacerebbe una scuola così? Allora, già da questo mese, iniziamola a vivere ognuno di noi nel proprio piccolo, dando l’esempio, vincendo la paura delle critiche o dell’emarginazione, della fatica e dell’incomprensione. Se davvero ognuno di noi ama il bene, dovrà essere disposto a piantare tutti i semi di bene che trova, confidando che le prossime generazioni possano vedere quest’albero sempre più alto e rigoglioso. Se nessuno si assumerà tale rischio, questa speranza verrà meno.

Buon anno scolastico, cari amici studenti e insegnanti!