Quando si approssima la Settimana Santa, il pensiero va ai luoghi della Passione di Nostro Signore: il Cenacolo, il giardino del Getsemani, il Pretorio, il Calvario. Molti hanno la grazia di poter svolgere i riti del Sacro Triduo Pasquale a Gerusalemme, tuttavia sono numerosi i luoghi del mondo che custodiscono le reliquie della Passione.
Per i cristiani, e in particolare per i cattolici, il rapporto con la Resurrezione e, in genere, con il sovrannaturale, si nutre di simboli concreti e tangibili: è una rivoluzione dell’anima che coinvolge tutti e cinque i sensi, tatto compreso. Poter toccare, afferrare un frammento del Dio invisibile che si è reso visibile, è un atto di adorazione che, pur non avendo un valore sacramentale in senso stretto, di certo, aiuta l’uomo a camminare a passo più spedito lungo i sentieri della salvezza.
Elencare in modo esaustivo tutte le reliquie della Passione, quella vere e quelle presunte, non è impresa alla nostra portata. Ci limiteremo alle più importanti e conosciute.
LA SINDONE DI TORINO: FACCIA A FACCIA CON GESU’ CROCIFISSO. L’ultima ostensione della Sindone, tenutasi dal 19 aprile al 24 giugno 2015 ha visto l’afflusso di almeno tre milioni di pellegrini a Torino. Anche la scienza è sempre più convergente: quel telo di lino, lungo due metri, sarebbe davvero il sudario che avvolse il corpo di Gesù Cristo, appena crocefisso. L’immagine del volto impresso su quel lenzuolo è sorprendentemente simile a quello dell’iconografia tradizionale. Le prime notizie certe sulla Sindone risalgono al 1353, anno in cui il cavaliere Goffredo di Charny dona alla chiesa di Lirey – fatta costruire da lui stesso qualche tempo prima – un lenzuolo che, a suo dire, avrebbe avvolto il corpo di Gesù Cristo, senza però riferire come ne è venuto in possesso. Nella suddetta chiesa avvengono le prime ostensioni, tra il 1355 e il 1357. Nel 1453, la Sindone viene venduta da Margherita di Charny al duca Ludovico II di Savoia, che la porta a Chambéry, dove nel 1502 Filiberto II di Savoia
la deposita nella cappella appositamente costruita nel castello ducale. Nel 1506, papa Giulio II autorizza il culto della Sindone, fissandone la ricorrenza nella giornata del 4 maggio.
Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, la Sindone viene danneggiata in un incendio e parzialmente riparata dalle suore clarisse di Chambéry. Nel 1578 lo spostamento a Torino, diventata nel frattempo la nuova capitale del ducato sabaudo. Durante tutta la Seconda Guerra Mondiale e oltre (1939-1946), a seguito di un accordo tra Vittorio Emanuele III e Pio XII, la Sindone viene segretamente nascosta nell’abbazia di Montevergine, nei pressi di Avellino, per sottrarla sia ai bombardamenti, sia a Hitler che aveva dichiarato di volersene impossessare. L’ultimo restauro del sacro lenzuolo è avvenuto nel 2002. Se, da un lato, la posizione della Chiesa è quella di non pronunciarsi sull’autenticità, autorizzandone comunque il culto, la comunità scientifica rimane spaccata sull’argomento. L’esame al carbonio 14, compiuto nel 1988, ne ha fissato la datazione in un periodo storico compreso tra il 1260 e il 1390, quindi proprio nell’epoca delle prime notizie storiche accertate sulla Sindone. Di tutt’altro esito sono invece le analisi realizzate alcuni anni prima dallo Sturp (Shroud of Turin Research Project), che rilevarono la presenza di emoglobina, albumina e bilirubina, quindi di macchie di sangue, per la precisione del gruppo AB. Questo gruppo di ricerca ha prodotto risultati che andavano decisamente verso la datazione bimillenaria dell’antico e venerato tessuto. La “vulgata” del carbonio 14 ha però preso il sopravvento per svariati anni. Un documentario uscito nel 2011, intitolato La notte della Sindone e diretto da Francesca Saracino, ha tuttavia rovesciato le sorti a favore della tesi “autenticista”. Ne emerse che, per motivazioni ideologiche, le ricerche su carbonio 14 erano state esternamente condizionate, in modo da decretare una datazione più recente. Perfino l’inventore della dotazione mediante radiocarbonio, Willard Frank Libby, aveva previsto un esito fallimentare della sottoposizione della Sindone alle prove del carbonio 14.
LE SINDONI “MINORI”. Assieme alla reliquia più nota, va segnalata l’esistenza di altre “presunte sindoni”.
– il Sudario di Oviedo, custodito nella cattedrale della Diocesi asturiana e consistente in un telo di dimensioni molto più ridotte, 84×53 cm, senza alcuna immagine impressa, ma con alcune macchie di sangue. Si ipotizza che tale panno possa effettivamente aver avvolto il capo di Gesù Cristo, ma solo nel tempo della deposizione dalla croce.
– il Mandylion, conservato a Edessa dal 544, poi a Costantinopoli dal 944, fino al saccheggio e alla trafugazione da parte dei crociati nel 1204. Su questo telo, di cui si sono perse le tracce, sarebbe stata visibile solamente l’immagine del volto di Cristo. Secondo alcuni studiosi, si trattava della vera Sindone, piegata in otto e chiusa in un reliquiario in modo da mostrare il sacro volto.
– la Sindone di Besançon, anch’essa più piccola (1,3×2,6 m) di quella di Torino e raffigurante solo l’immagine anteriore di Cristo morto. Giunta nella località francese (non lontana da Lirey, presunto primo luogo a custodire la Sindone di Torino) intorno al 1208, scomparve in un incendio nel 1349 e fu ritrovata in un armadio della medesima cattedrale nel 1377, prima di finire distrutta definitivamente nel 1794, durante la Rivoluzione francese.
LA CROCE, I CHIODI E LA COLONNA. Dal 1931, la basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme custodisce i chiodi e le spine della corona posta sul capo di Gesù. Secondo la tradizione, le reliquie sarebbero state portate a Roma nel IV secolo da Sant’Elena, al ritorno dal suo pellegrinaggio nella Città Santa, assieme a frammenti della Croce. In seguito, nella stessa basilica, furono aggiunte altre reliquie: alcuni frammenti della Grotta della Natività e del Santo Sepolcro, la falange del dito di Tommaso, il patibolo del buon ladrone e le spine appartenenti alla corona di Gesù. Inoltre, in una teca è custodito il Titulus Crucis, ovvero la tavoletta dove è iscritta in lingua ebraica, greca e latina la motivazione della condanna. Sempre a Roma, nella basilica di Santa Prassede, è conservata la colonna della flagellazione, giunta da Gerusalemme a Roma nel 1223.
LE SPINE CHE FIORISCONO: UN MIRACOLO CHE SI RIPETE. Ogni anno che il Venerdì Santo cade nella solennità dell’Annunciazione (25 marzo), fenomeni non spiegabili alla luce della scienza si verificano nella cattedrale di Andria e nella parrocchia di San Giovanni Bianco, in provincia di Bergamo. Entrambe le chiese custodiscono una delle spine della corona imposta sul capo di Gesù, durante l’interrogatorio di Ponzio Pilato, le quali, nelle coincidenze pocanzi indicate (le ultime si sono verificate nel 2005 e nel 2016, la prossima avverrà nel 2157), assumono un colore rossastro, come se stessero emettendo il sangue del Signore appena condannato. Il culto delle Sacre Spine è diffuso fin dall’antichità: ne furono particolarmente devoti l’imperatore Giustiniano, Carlo Magno e Luigi IX, re di Francia, il quale, venuto in possesso della Sacra Corona di Cristo, nel 1238, fece costruire la Sainte-Chapelle per custodirla.
IL VOLTO SANTO. Il panno custodito nel santuario di Manoppello (Pescara) reca impresso quello che, secondo la tradizione, è il volto di Gesù asciugato dalla Veronica (X stazione della Via Crucis). I numerosi studi realizzati sulla reliquia hanno riscontrato somiglianze notevoli con il volto dell’Uomo della Sindone, comprese le ferite ricevute da Gesù, durante la Passione. Grazie ai suoi studi in farmacia, la suora trappista tedesca Blandina Paschalis Schlömer ha individuato analogie tra i due teli utilizzando una tecnica di sovrapposizione basata su punti di convergenza. La perfetta coincidenza tra le due immagini ha dimostrato che entrambi i teli sono riconducibili a un’unica persona, con l’unica differenza che nel Sacro Volto di Manoppello, gli occhi di Gesù, ancora vivo, sono aperti. Gli studi di suor Blandina, tuttavia, hanno rilevato la sovrapponibilità anche tra i teli della Sindone, quello di Manoppello e quello di Oviedo, che avvolse anch’esso il volto di Gesù ma soltanto dopo la morte. Secondo lo studio compiuto nel 1997 dal professor Donato Vittori, ortopedico e traumatologo dell’Università di Bari, attraverso i raggi ultravioletti, è stato confermato che il Sacro Volto di Manoppello non presenta alcun colore, pertanto la reliquia non può essere stata dipinta a mano.
Attraverso le reliquie della Passione, scienza e fede si incontrano e intraprendono un lungo e appassionato viaggio nello spazio e nel tempo, avvicinando persone e popoli diversi e lontani tra loro. Un viaggio, la cui destinazione è quella della Verità e della Resurrezione.
Per approfondimenti:
Luca Marcolivio, Sindone: quella “vera” e quelle presunte, Frammenti di pace, aprile 2017, pp.35-36
Osvaldo Rinaldi, Le reliquie della Passione: segni del passato che sostengono il presente e accendono la speranza, Frammenti di pace, aprile 2017, pp.37-39
Renzo Allegri, Le spine che ricordano la Passione, Frammenti di pace, aprile 2017, pp.40-42
Osvaldo Rinaldi, Volto Santo di Manoppello: un segno della speranza pasquale, Frammenti di pace, aprile 2017, pp.43-44
Luca Marcolivio,Sindone: la verità sul carbonio 14, www.zenit.org, 31 marzo 2012