Non è la prima volta che papa Francesco dimostra una spiccata sensibilità per le evoluzioni lessicali e i neologismi. Già era avvenuto un anno fa, quando, durante la GMG di Panama, aveva definito la Vergine Maria come l’“influencer di Dio”. Diffondendo ieri il Messaggio per la 54° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, in programma per domenica 24 maggio 2020, Solennità dell’Ascensione, sul tema «Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2). La vita si fa storia, il Santo Padre ha fatto esplicito riferimento alla “narrazione” e allo “storytelling”.
Nel Messaggio, tradizionalmente rivolto ai giornalisti e agli operatori della comunicazione, in occasione della memoria liturgica di San Francesco di Sales, loro patrono, il Pontefice ha ribadito alcune realtà incontrovertibili: da un lato, tutta la vita è raccontare “storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme”; l’uomo è cioè portato, per sua natura, a creare rappresentazioni della realtà e della vita, per imparare a comprenderla e a viverla meglio. Dall’altro, su un piano più strettamente prescrittivo, l’umanità necessita di “storie buone” o, per dirla più ‘evangelicamente’, di buone notizie “che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano”. Storie, quindi, che capovolgano le attuali narrazioni dominanti, spesso contaminate da “violenza”, “falsità” e “pettegolezzi”.
Queste raccomandazioni formulate dal Papa ai giornalisti (che qualche anno fa esortò a diventare “buoni samaritani” dell’informazione), non sono affatto scontate e affondano le loro radici nella Scrittura. Di fronte all’isteria collettiva per lo storytelling, Francesco riporta tutti con i piedi per terra, ricordando che “non tutte le storie sono buone” e che il mondo è infestato dalle fake news, la più antica delle quali è quella sussurrata dal serpente ad Eva nel giardino dell’Eden: «Se mangerai, diventerai come Dio» (cfr Gen 3,4). Con le notizie false, che mettono insieme “informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi” e “colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità”, spiega Bergoglio. Tuttavia, “mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno vita breve, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo”.
Da sapiente conoscitore del linguaggio e delle etimologie qual è, papa Francesco coglie la radice comune del sostantivo “testo” con il verbo “tessere”. Attraverso le “storie buone”, ovvero storie vere e, al tempo stesso, cariche di speranza e di contenuti pedagogici, è possibile ricostruire un tessuto umano e sociale, ponendo fine alle disgregazioni, alla disperazione e alla solitudine generalizzate. «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (Sal 139,13-15), recita il Salmo citato dal Santo Padre nel Messaggio per la 54° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
Nel mare magnum delle narrazioni presenti e passate, non tramonterà mai la grandezza della Sacra Scrittura, definita dal Pontefice “Storia di storie”, rappresentativa di una pluralità impressionante di “vicende, popoli, persone”. Il vero nucleo della Scrittura è nella “grande storia d’amore tra Dio e l’umanità”, al cui centro “c’è Gesù”, con la sua storia, la quale “non è un patrimonio del passato, è la nostra storia, sempre attuale”. E in ogni “grande racconto” – sia esso il Vangelo, la vita di un santo o anche una mirabile e profonda opera letteraria come, ad esempio, I Promessi Sposi e I fratelli Karamazov, citati dal Papa – “entra in gioco il nostro racconto”. Quando raccontiamo a Dio la nostra storia, entriamo “nel suo sguardo di amore compassionevole verso di noi e verso gli altri” e “con Lui possiamo riannodare il tessuto della vita, ricucendo le rotture e gli strappi”. È qui che il Papa offre una prospettiva diversa dall’autoreferenziale storytelling mondano, il cui unico scopo è “farsi pubblicità”. Sotto lo sguardo del “Narratore”, invece, nessuno è più “una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento”.
Chiunque può essere narratore di una storia. Mentre, però, la maggior parte degli storyteller o degli influencer d’oggi raccontano narcisisticamente se stessi, il narratore più genuino è colui che racconta di un incontro che gli cambia la vita. Un incontro che non è esclusivo e unico ma che tutti possono fare. In una storia in cui, miracolosamente, nessuno è un personaggio di secondo piano ma tutti diventano protagonisti, senza in alcun modo entrare in competizione con gli altri, perché c’è un Altro che conta immensamente di più.