Manuel, Tim, Irene: più forti dell’odio

“Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia” (Rm 5,20). Queste parole di San Paolo calzano a pennello per una vicenda che ha scosso profondamente l’Italia. Stiamo parlando del ferimento di cui è stato vittima Manuel Bortuzzo, il 19enne nuotatore veneto, coinvolto, la notte dello scorso 3 febbraio, in una sparatoria, provocata da un tragico scambio di persona all’uscita di un pub alla periferia di Roma. Ragazzo dal cuore d’oro, quasi privo di malizia, Manuel voleva solo trascorrere una serata lieta assieme alla fidanzata e ad alcuni amici ma si è trovato in una situazione spietatamente più grande di lui. Il proprietario del pub in questione è stato arrestato per spaccio di droga, così come gli aggressori del nuotatore, spacciatori con precedenti penali, dal cui interrogatorio, però, non è emerso quale fosse il vero obiettivo.

Purtroppo, Manuel, molto probabilmente, non tornerà a camminare. Nella migliore delle ipotesi, dopo tanta fisioterapia e un training speciale, potrà ancora nuotare e già si prospetta per lui una carriera da nuotatore paralimpico. Molto più del risvolto sportivo, tuttavia, colpisce il lato umano della vicenda. Il ferimento di Manuel ha messo in moto una straordinaria gara di solidarietà che ha coinvolto in particolare molti coetanei del giovane atleta veneto. C’è chi ha raccolto fondi per aiutare la famiglia nelle cure. Una ragazza romana ha donato a Manuel la sua prima medaglia vinta in una gara di nuoto, portandogliela personalmente al centro di riabilitazione romano “Santa Lucia”, dove è ricoverato. Molti giovani nuotatori nelle settimane successive al fatto, sono scesi in acqua con la lettera M disegnata sulla spalla, in segno di vicinanza a Manuel.

I video e i messaggi diffusi da Manuel raccontano qualcosa di semplicemente prodigioso. “Coraggio mamma, adesso inizia un nuovo allenamento”, ha detto, rincuorando la madre, dopo aver saputo della sua paraplegia. “Sono appena arrivato in quello che sarà il mio nuovo campo da combattimento”, ha dichiarato poco dopo l’arrivo al Santa Lucia, in un video che ha superato il milione di visualizzazioni. Volto sempre disteso e sorridente, ringraziamenti dal profondo del cuore al personale sanitario che l’ha assistito e alla Federazione Nuoto per la vicinanza, tanta voglia di ricominciare, mai un riferimento ai suoi feritori. Manuel Bortuzzo, nel suo piccolo, è un simbolo dell’amore che vince l’odio, della sofferenza che non viene meno ma viene trasfigurata, assume un significato nuovo e riscatta le persone. Non è noto se Manuel sia cristiano o credente ma la sua storia è davvero esemplare. C’è da credere che, se un giorno il nuotatore dovesse mai incontrare i suoi mancati killer, saprà offrire loro il perdono.

Sempre a Roma, lo scorso 12 febbraio, presso la parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio ha reso testimonianza Tim Guenard, 60enne ex pugile e scrittore francese, protagonista di una delle più incredibili storie di conversione degli ultimi cinquant’anni. Agli occhi del mondo, il giovane Guenard era un balordo senza speranza. Non capita tutti i giorni – per fortuna – di sentire di bambini o ragazzi prima abbandonati per strada dalla madre, poi picchiati dal padre così selvaggiamente da sfiorare la morte. A Tim capitarono entrambe le cose. Per le botte paterne, Guenard andò in coma, rischiando anche di perdere l’uso delle gambe. A restituirgli le forze non fu l’amore ma la sete di vendetta contro il genitore. “Mi dicevo: non perdonerò mai mio padre, tornerò a camminare per andarlo a uccidere. Gli altri andavano avanti con il carburante dell’amore, io con il carburante dell’odio”, ha raccontato Guenard durante la sua testimonianza romana.

Trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra ospedale, orfanotrofio, riformatorio e carcere, Tim era diventato un ragazzo della strada, che campava di espedienti: furti, rapine… la banalità del male. Eppure giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, il suo cuore aveva iniziato a comprendere che, al mondo, non esistevano solo l’odio, l’egoismo, la rivalità e la competizione. Nel bel mezzo di un mare di ostilità e indifferenza, intorno a Tim erano iniziate a scendere – minuscole e discrete ma insistenti – inaspettate gocce di umanità e compassione. Fa amicizia con un signore al parco che gli porta i giornali con cui coprirsi la notte. In un poliziotto che un giorno gli offre un panino, un giorno intravede la figura paterna. In una giudice che in tribunale lo tratta con clemenza, vede la figura materna.

La vera svolta nella vita di Tim Guenard, tuttavia avviene il giorno in cui, proprio mentre sta per mettere a segno la sua ennesima rapina in banca, dall’altra parte della strada, assiste a una scena tenerissima quanto comune: un padre accarezza suo figlio di 8-10 anni e gli dice: “Sono fiero di te”. Lui che, fino ad allora aveva rubato nelle banche, per miracolo arriva a “rubare l’amore”. “Quando sarò papà un giorno dirò ai miei figli: ‘vi voglio bene’…”, pensò in quell’occasione. Fino all’incontro con quello che lui chiama il “Big Boss”: un amico molto credente, un giorno, introduce Tim nella comunità L’Arche, fondata da Jean Vanier. La prima confessione è soffertissima: Tim pensa che, per i guai che ha combinato, nessuno mai lo potrà perdonare ma, proprio in quel frangente, scopre che l’amore del Big Boss è di gran lunga superiore alle miserie personali sue e di chiunque altro. E fu così Tim Guenard, rinfrancato dall’amore del Padre celeste, volle riconciliarsi col suo padre terreno: proprio a quel padre che, in gioventù avrebbe voluto ammazzare, Tim ha detto: “Il mio presente è più forte del mio passato”.

La vicenda di Tim Guenard è ricostruita nella sua autobiografia, Più forte dell’odio (1999), cui sono seguiti altri libri e, più di recente, una testimonianza riprodotta nel docufilm http://www.frammentidipace.it/Pages/Articoli/10333/Cotelo_“I_miei_film_amati_anche_da_atei_e_musulmani”>Il miglior regalo, di Juan Manuel Cotelo, regista de L’ultima cima, Terra di Maria e Footsteps. Nella sua ultima pellicola, Cotelo ha raccolto varie storie di perdono “estremo”: alcuni parenti di vittime del terrorismo, in Colombia, Spagna, Irlanda del Nord, hanno voluto incontrare e abbracciare coloro che hanno portato via i loro affetti più cari.

Irene Villa, oggi quarantenne, è stata vittima di un attentato dell’ETA a dodici anni. Lei perse le gambe e tre dita, la madre una gamba e un braccio. Quando Cotelo, provocatoriamente, le ha domandato: “Perché sorridi? Dovresti essere arrabbiata…”, lei gli ha risposto: “Perché dovrei avere amputato anche il mio cuore?”. Durante la convalescenza che seguì l’attentato, la mamma aveva detto a Irene: “Abbiamo due possibilità, passare la vita maledicendo gli attentatori – e abbiamo il diritto di farlo! – oppure, cercare di lottare per continuare a vivere come prima. Quello che deciderai lo faremo”. E la figlia le aveva replicato: “Mamma ho già deciso: sono nata senza gambe. Vivrò come se nulla fosse successo”.

In qualunque momento dell’anno, ma a maggior ragione durante la Quaresima che sta per iniziare, leggere o ascoltare storie come quella di Manuel, di Tim o di Irene, come direbbe papa Francesco, “ci farà molto bene”…

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Per approfondimenti:
http://www.osservatoreromano.va/it/news/un-nuovo-jean-valjean
http://www.frammentidipace.it/Pages/Articoli/10333/Cotelo_“I_miei_film_amati_anche_da_atei_e_musulmani
http://www.frammentidipace.it/Pages/Articoli/10382/Più_forte_dell’odio