Manzoni: la conversione e la misericordia in punta di penna

Alessandro Manzoni
Francisco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni (1842)

Parigi, 2 aprile 2010. Una giovane coppia italiana presenzia al matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d’Austria. Uno scoppio di petardi provoca un fuggi fuggi generale della folla. Una calca incredibile per quei tempi. La giovane coppia si ritrova improvvisamente divisa. Lei sviene. Rimasto da solo, in preda all’agorafobia, lui si rifugia nella chiesa di San Rocco e si mette a pregare. Uscito da lì ritrova la fede e, dopo qualche minuto, anche la moglie. I due coniugi in oggetto sono Alessandro Manzoni ed Enrichetta Blondel.

L’aneddoto ha sempre molto affascinato gli storici della letteratura ed è riportato nella maggior parte dei libri scolastici. Ciononostante, è vero soltanto a metà. Per la precisione: è vero l’aneddoto e, ovviamente, è vera la conversione del Manzoni, che, però, a quel tempo era già avvenuta. Del resto, lo scrittore milanese non menziona mai questo passaggio della sua vita in nessuna delle sue numerosissime lettere. La coppia si era sposata due anni prima con rito calvinista, eppure, al momento della nascita della primogenita Giulia Claudia, avevano deciso di battezzare la piccola nella Chiesa Cattolica. Una scelta peculiare, essendo il padre di formazione laico-illuminista, mentre la madre, pur avendo ricevuto il battesimo cattolico, era stata educata al calvinismo. In realtà, nel Manzoni stava già covando un cambiamento interiore, che lo avrebbe portato, nel 1809, a scrivere a papa Pio VII, informandolo di essersi pentito del suo percorso di vita, di desiderare di essere riaccolto nella Chiesa e di voler risposare la moglie, stavolta con il rito cattolico.

Cosa spinse, tuttavia, il più illustre scrittore italiano del XIX secolo a compiere una scelta di vita così radicale e controcorrente? Ebbene, con molta probabilità, tutto nasce dalla vicenda personale di un antenato: Giacomo Maria Manzoni. Si tratta di un personaggio vissuto nel XVII secolo e che, durante la peste a Milano, era finito sotto accusa in quanto untore. Costui era stato un signorotto prepotente, al quale erano stati attribuiti numerosi delitti e omicidi. Giacomo Maria Manzoni sarebbe morto impenitente, mentre un altro antenato per parte di madre, Bernardino Visconti, si era pentito e dedicato ad opere buone, al fine di espiare i suoi peccati. Visconti è quindi il personaggio che ha ispirato l’Innominato e che rivive in modo molto nitido ne I promessi sposi.

La consapevolezza di aver avuto degli antenati così poco santi, aveva spinto il Manzoni a riflettere sul valore del perdono. È così che nasce la sua conversione, in tutti i risvolti personali e letterari. Essendo un narratore “onnisciente” e non distaccato, Manzoni interviene parecchio nel suo racconto, in primo luogo perché ogni suo personaggio rispecchia qualcosa dell’autore. Ne I promessi sposi, l’equilibrio narrativo si rompe fin dalle prime battute e ognuno dei protagonisti vive delle vicissitudini che lo conducono a un cambiamento. Trattandosi di un’opera frutto di una conversione ormai matura, I promessi sposi affrontano il dilemma del bene e del male, con cui tutti – Renzo, Lucia, don Abbondio, don Rodrigo, fra Cristoforo – devono fare i conti, ognuno a modo proprio. Manzoni, tuttavia, non è un manicheo e nemmeno un calvinista, ma un cattolico e, in quanto tale, offre un approccio assai problematico, in cui nessuno è veramente del tutto buono e nessuno è veramente cattivo. Tutti, in compenso, sono perfettamente liberi di scegliere da che parte stare e, proprio per questo, le loro scelte sono così sofferte.

Nella sua narrazione, Manzoni utilizza due elementi perturbativi: il primo è la morte, il secondo è la misericordia. Quando descrive la pestilenza che arriverà a dimezzare la popolazione milanese, lo scrittore mostra come il fenomeno vada a livellare la società: tutti muoiono e nella morte tutti sono uguali, come dimostra don Rodrigo agonizzante non nel suo castello ma in un lazzaretto in mezzo ai poveri. Manzoni è quasi paradossale: enfatizza notevolmente la Provvidenza come king maker della Storia, eppure non la strumentalizza per fini sociali o per sovvertire l’ordine esistente. Esiste, sì, una buona sorte che premia i buoni ma essi rimangono tali, quasi come se fosse ingiusto privarli del loro più nobile dono: quello della ricchezza spirituale. Al tempo stesso, i potenti, pur commettendo azioni malvage la maggior parte di essi, non smarriscono il loro status e per loro rimane sempre aperta la porta della misericordia. “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”, dice Lucia all’Innominato, quasi a sottolineare la preminenza del bene sul male, anche quando l’evidenza suggerisce nettamente il contrario.

Con il suo registro benevolmente umoristico, Manzoni è quasi antesignano di Chesterton e di Guareschi, con il quale ha in comune l’attitudine a distinguere il peccato dal peccatore, per condannare l’uno e salvare il secondo. Se è vero che ogni personaggio manzoniano è pieno di sfaccettature, il più riuscito è forse proprio quello dell’Innominato, simbolo del dissidio interiore e del gelo nel cuore che può colpire davvero chiunque. Non possiamo compiere vere scelte, se non con l’aiuto di Dio, l’unico in grado di raddrizzare le follie degli uomini. Alessandro Manzoni è indubbiamente uno dei pochi grandi scrittori che, forse senza volerlo, ha fatto evangelizzazione con le sue opere: cosa davvero non scontata per un laico dei suoi tempi. Una caratteristica che, anche quest’anno, nel 150° anniversario della morte, lo rende più che mai attuale, nella misura in cui ad essere sempre attuale è il Vangelo stesso.